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Saggio

Il concordato semplificato introdotto dal d.l. n. 118 del 2021, convertito, con modifiche dalla l. n. 147 del 2021*

Giuseppe Bozza, già Presidente del Tribunale di Vicenza

9 Novembre 2021

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’autore esamina approfonditamente il nuovo istituto quale sbocco della non riuscita fase negoziale, soffermandosi  in particolare sulle divergenze rispetto all’ordinario concordato disciplinato dalla legge fallimentare.
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1 . Inquadramento del concordato semplificato
Una delle novità introdotte dal recente d.l. 24 agosto 2021, n. 118, convertito, con modifiche, dalla l. 21 ottobre 2021, n. 147, è il concordato semplificato.
Le premesse da cui muovere per affrontare un discorso su questa nuova figura, che servono ad identificarne le caratteristiche di fondo, possono così riassumersi:
a-il concordato semplificato non è una nuova figura di concordato autonomo cui il debitore possa accedere direttamente, ma una procedura utilizzabile, ad esclusiva iniziativa del debitore, solo come sbocco della composizione negoziata, quando le trattative non abbiano portato ad altre soluzioni; pertanto questa nuova procedura è utilizzabile soltanto dall’imprenditore che abbia seguito il percorso della composizione negoziata, sempre che le trattative siano state avviate per aver ritenuto l’esperto ricorrere concrete prospettive di risanamento e che, all’esito delle stesse, non sia stata individuata una soluzione idonea al superamento della situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendevano probabile la crisi o l'insolvenza. 
Tanto si deduce dall’intera intelaiatura della nuova normativa e, in particolare, dalla previsione del primo comma dell’art. 18, per la quale l'imprenditore può presentare una proposta di concordato per cessione dei beni nei sessanta giorni successivi alla comunicazione della redazione finale redatta dall’esperto nominato per la composizione negoziata al termine dell’incarico e con la quale “dichiara che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede, che non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni individuate ai sensi dell'articolo 11, commi 1 e 2, non sono praticabili”.
Di conseguenza, l’aggiunta fatta dalla legge di conversione, all’art. 11, co. 3, dell’art. 11- per il quale il debitore può “proporre la domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all'articolo 18 del presente decreto”, “all'esito delle trattative”, è del tutto superflua in quanto non poteva sussistere alcun dubbio che la domanda di concordato semplificato di cui all’art. 18 potesse essere proposta solo all’esito delle trattative, a seguito della relazione dell’esperto che dà atto della impossibilità di un accordo con i creditori o comunque di trovare altre soluzioni concordate; ed infatti il testo della lett. e) del quarto comma dell’art. 17- che consente anche all’imprenditore sotto soglia di “proporre la domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all'articolo 18 del presente decreto”- è rimasto immutato, Escluso per manifesta illogicità che il legislatore, con la differente formulazione delle due norme, abbia inteso creare un sistema secondo cui l’imprenditore sotto soglia può accedere al concordato semplificato anche nel corso delle trattative per la composizione negoziata, nel mentre quello fallibile deve necessariamente attendere l’esito delle trattative, sia ha ulteriore conferma della superfluità dell’aggiunta fatta dalla legge di conversione all’art. 11.
b-Il concordato semplificato può assumere soltanto la veste del concordato liquidatorio. Invero, la lett. b) del comma terzo dell’art. 11 recita: “l’imprenditore può proporre la domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all'articolo 18 del presente decreto” e l’art. 18, a sua volta, identifica il concordato semplificato in “una proposta di concordato per cessione dei beni unitamente al piano di liquidazione e ai documenti indicati nell'articolo 161, secondo comma, lettere a), b), c), d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”. 
Espressioni che evidenziano come il ricorso a questo tipo di concordato sia possibile solo quando, preso atto della impossibilità di un accordo con i creditori o comunque di trovare altre soluzioni concordate, rimane quale unica via percorribile quella della liquidazione del patrimonio; il che non esclude, come in ogni concordato liquidatorio, la possibilità di una cessione unitaria dell’azienda o di un ramo della stessa, anche basata su un offerta precostituita, come previsto dall’art. 19, tuttavia, anche in questi casi, non è richiamabile la figura del concordato con continuità indiretta, sia per la chiara terminologia legislativa, sia per lo scopo del nuovo istituto, consistente esclusivamente nella liquidazione del patrimonio in funzione satisfattoria, in cui la vendita unitaria dell’azienda costituisce solo una modalità per un maggior ricavo rispetto ad una vendita particellizzata.
Il concordato semplificato è, cioè, costruito dalla legge come la procedura cui il debitore ricorre dopo il fallimento delle trattative della negoziazione, per cercare un regolamento extra fallimentare del dissesto secondo il modello classico della cessione dei beni, in cui manca qualsiasi interesse alla continuità dell’impresa da parte sua o di terzi[1], o, per meglio dire, manca quella componente, di qualsiasi consistenza, di prosecuzione dell'attività aziendale che secondo l’interpretazione della S. Corte[2] rende applicabile la disciplina speciale prevista dall’art. 186-bis, l. fall.. 
Tale norma, spiega la Corte, non prevede alcun giudizio di prevalenza fra le porzioni di beni a cui sia assegnato una diversa destinazione, ma una valutazione di idoneità dei beni sottratti alla liquidazione ad essere organizzati in funzione della continuazione, totale o parziale, della pregressa attività di impresa e ad assicurare, attraverso una simile organizzazione, il miglior soddisfacimento dei creditori”. E l’art. 18, non solo richiama la documentazione di cui all’art. 161 e non quella di cui all’art. 186-bis, che non viene mai menzionato, ma, qualora vi sia la prospettiva di cessione dell’intera azienda o di un ramo della stessa, o sia già stata acquisita una offerta di acquisto del genere, in attesa della realizzazione del trasferimento, non richiede che l’attività continui in modo che l’azienda sia in esercizio (per usare l’espressione dell’art. 186-bis l. fall.) né, ove l’acquisto riguardi un ramo di azienda, che il debitore continui per il futuro l’attività con la parte residua che, invece, va anch’essa liquidata.
Il concordato semplificato, pertanto, è ascrivibile, per qualificazione legislativa, alla categoria dei concordati liquidatori, seppur indirettamente possa favorire la continuità, come lascia intendere il già citato art. 19 quando disciplina la cessione dell’azienda o di ramo della stessa già prima dell’omologa, ma la continuazione dell’impresa è un dato eventuale per nulla valorizzato dal nuovo legislatore, anche quando sia già in corso un affitto di azienda finalizzato al trasferimento della stessa (situazione peraltro che molto probabilmente avrebbe portato ad una soluzione positiva della crisi nella fase della negoziazione); né, peraltro, la semplificazione del rito che, come vedremo, porta direttamente alla omologazione, consente di attuare forme di continuità indiretta momentanea durante la procedura (ad esempio attraverso un affitto dell’azienda effettuato in questa sede) con effetti traslativi dopo l’omologa. 
c-Il concordato semplificato non è una sottospecie del concordato preventivo ordinario, ma una figura giuridica a sè, retta da una propria e autonoma disciplina, che contiene disposizioni proprie e specifici richiami di norme dettate per l’ordinario concordato preventivo, ma non un rinvio generalizzato alle stesse. 
Ne discende che le uniche norme del concordato preventivo applicabili alla nuova figura di concordato semplificato sono quelle espressamente richiamate, con conseguente inapplicabilità delle regole non richiamate; né gli spazi vuoti possono essere riempiti con l’applicazione analogica della ordinaria normativa in quanto detti spazi non sono da colmare, ma sono le caratteristiche della nuova figura, che lo differenziano dal concordato liquidatorio ordinario. Non a caso, il nuovo concordato è definito semplificato, proprio perché non richiede una serie di requisiti e comportamenti che onerano il debitore che intende accedere e accede all’ordinario concordato, per cui applicare al primo le norme del secondo significherebbe vanificare la portata del nuovo istituto.
d-Questa nuova figura di concordato semplificato non è “transitoriamente legata alla fase emergenziale in corso” tale da essere considerata una “introduzione temporanea”[3] in quanto non mi pare avere limiti temporali di applicazione. Invero, il decreto legge n. 118 del 2021 indubbiamente ha introdotto “misure di supporto alle imprese per consentire loro di contenere e superare gli effetti negativi che l'emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2 ha prodotto e sta producendo sul tessuto socio-economico nazionale” (come si legge, nel preambolo del decreto legge), ma la pandemia in corso ha rappresentato l’occasione per introdurre strumenti più appropriati a far fronte alla crisi d’impresa, accentuata dalla pandemia; tuttavia nessuna norma collega la durata della vigenza delle nuove norme alla fine della pandemia o alla cessazione dello stato di emergenza, né è previsto, in via generalizzata, un termine temporale per l’applicazione della procedura di composizione negoziata o per il concordato liquidatorio semplificato[4]. 
Né, un tale limite può vedersi nella data di entrata in vigore del CCII che introdurrà una nuova normativa sostitutiva della attuale legge fallimentare in quanto i nuovi istituti introdotti dal d.l. n. 118 del 2021 non sono parte della legge fallimentare, per cui la recente normativa dovrà essere coordinata con quella del CCII. Peraltro, appare del tutto irrealistico che sia creata una nuova procedura di composizione della crisi. con l’annessa nuova figura del concordato semplificato, perché trovi applicazione soltanto per il periodo dal 15 novembre 2021 (data di entrata in vigore del d.l. n. 118 del 2021) al 16 maggio 2022 (data di entrata in vigore del CCII, come da ultimo stabilita proprio con recente d.l.).
Le nuove disposizioni in esame potranno anche essere abrogate, ma al momento questo evento non può darsi per certo; anzi, poiché la novità della composizione negoziata è stata introdotta per sopperire alla farraginosità della procedura di allerta regolata dal CCII e per offrire agli imprenditori in difficoltà ulteriori strumenti, efficaci e meno onerosi, per il risanamento delle attività che rischiano di uscire dal mercato, è prevedibile che questa nuova figura sarà mantenuta ed eventualmente sarà modificata o abrogata quella di allerta.
2 . I presupposti soggettivi ed oggettivi
La prima delle premesse fatte – che, cioè, la nuova figura non può essere utilizzata in via autonoma e immediata ma solo quale sviluppo della composizione negoziata non riuscita- consente di dire, nel silenzio dell’art. 18 e stante il mancato richiamo dell’art. 1 l. fall., che alla nuova procedura concordataria semplificata possono fare ricorso, dal punto di vista soggettivo, solo e tutti coloro che possono chiedere la nomina dell’esperto per la composizione negoziata. Poiché tale nomina può chiederla qualsiasi “imprenditore commerciale e agricolo che si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza”, (art. 2, co. 1), compreso “l'imprenditore commerciale e agricolo che possiede congiuntamente i requisiti di cui all'articolo 1, secondo comma, l. fall,” (imprenditori sotto soglia o imprese minori, secondo la definizione di cui all’art. 2 del CCII), che si trovi nelle medesime condizioni di squilibrio, appare del tutto palese l’idea del legislatore di dare accesso alla nuova procedura a qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo, soggetto a fallimento o a liquidazione straordinaria o a sovraindebitamento, non essendo previsti limiti dimensionali, né verso l’alto né verso il basso. Come del resto precisato anche nella relazione (al testo elaborato dalla Commissione Pagni, in seguito Relazione), ove si dice, appunto, che ““Non vi sono requisiti dimensionali di accesso alla composizione negoziata, che è concepita con strumento utilizzabile da tutte le realtà imprenditoriali iscritte al registro delle imprese, comprese le società agricole”.
Il nuovo decreto legge contiene una apposita disciplina per l’accesso e lo svolgimento delle trattative in caso di gruppo di imprese, precisando nel primo comma dell’art. 13 che “costituisce gruppo di imprese l’insieme delle società, delle imprese e degli enti, esclusi lo Stato e gli enti territoriali, che, ai sensi degli articoli 2497 e 2545-septies del codice civile, esercitano o sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica”. Non è questa la sede per un discorso sul “gruppo di imprese” perché, ai fini che qui interessano è sufficiente rilevare che l’art. 13- che pur detta un criterio unitario per l’individuazione della camera di commercio competente e prevede che unitariamente vengano svolte le trattative per tutte le imprese, salvo che non risultino eccessivamente gravose, ed altro- nel suo ultimo comma stabilisce che “al termine delle trattative, le imprese del gruppo possono stipulare, in via unitaria, uno dei contratti di cui all'articolo 11, comma 1, ovvero accedere separatamente alle soluzioni di cui all'articolo 11”. Orbene, chi sceglie la via del concordato semplificato, non può che accedere separatamente a tale procedura in quanto gli artt. 18 e 19 del d,l. in esame non contengono alcun riferimento alle società di gruppo e manca qualsiasi disciplina dello svolgimento della procedura unitaria delle più imprese del medesimo gruppo[5].
Dal primo comma dell’art. 3 del d.l. n.118 del 2021, che prevede l’istituzione di “una piattaforma telematica nazionale accessibile agli imprenditori iscritti nel registro delle imprese attraverso il sito istituzionale di ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura”, si deduce, altresì, che possono accedere alla composizione negoziata solo gli imprenditori iscritti nel registro delle imprese. Pertanto, non possono chiedere la nomina dell’esperto gli imprenditori non iscritti, quali, ad esempio le società di fatto o le holding individuali di fatto[6], ma neanche gli imprenditori iscritti, ma poi cancellati dal registro delle imprese, anche se non è decorso l’anno da detta cancellazione[7], posto che il requisito dell’iscrizione è richiesto al momento della domanda, senza eccezioni e senza alcun richiamo all’art. 10 l. fall..
Ne consegue che la platea dei soggetti che possono usufruire, in prima battuta della procedura di accordo negoziato e, in seconda, del concordato semplificato, è più ampia di quella che può accedere al concordato preventivo, essendo quest’ultimo riservato ai soli imprenditori commerciali (non quelli agricoli) che non siano sotto soglia (art. 1 l. fall.), nel mentre la nuova procedura è riservata a qualsiasi debitore che svolga attività d’impresa, iscritto nel registro delle imprese e che non abbia già presentato ricorso per l'ammissione al concordato preventivo, anche con riserva, o una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione, anche ai sensi del comma sesto dell’art. 182-bis l. fall. o ricorso per l'accesso alle procedure di accordo di ristrutturazione dei debiti o di liquidazione dei beni di cui agli articoli 7 e 14-ter della legge 27 gennaio 2012, n. 3, la pendenza delle quali è ostativa alla presentazione della domanda di composizione negoziata, a norma del secondo comma dell’art. 23 d.l. n. 118 del 2021.
Il presupposto oggettivo per l’accesso (sempre che si sia pervenuti all’esito infausto delle trattative) è, invece, lo stesso su cui si fonda l’ordinario concordato liquidatorio, ossia lo stato di crisi che, come precisa il terzo comma dell’art. 160 l. fall., può comprendere anche una situazione di insolvenza. 
E’ vero, infatti, che il concordato semplificato costituisce uno degli sbocchi della procedura della composizione negoziata e che con questo strumento si intende agevolare il risanamento di quelle imprese che, pur trovandosi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, hanno le potenzialità necessarie per restare sul mercato, anche mediante la cessione dell’azienda o di un ramo di essa, ma la modifica apportata dalla legge di conversione al comma 1 dell’art. 9, ammettendo la prosecuzione delle trattative anche nel caso di insolvenza del debitore purchè esistano concrete prospettive di risanamento, lascia chiaramente intendere che lo stato di insolvenza del debitore non è preclusivo alla continuazione della composizione negoziata. Ad ogni modo, qualunque sia il significato da attribuire all’espressione “condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza” che condiziona l’accesso alla procedura stragiudiziale, è pacifico che al concordato semplificato il debitore può accedere, come già detto, “quando l'esperto nella relazione finale dichiara che le trattative non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni di cui all'articolo 11, commi 1 e 2, non sono praticabili”; il che sta a significare che la situazione in cui versa il debitore (o già versava inizialmente) non è quella di una crisi o insolvenza probabile, ma di una crisi o vera e propria insolvenza in atto[8]. 
Stabilire, poi, quando l’esperto possa o debba emettere una tale dichiarazione è problema che interessa principalmente i modi di chiusura della fase negoziale, ma che si riversa anche sul concordato semplificato perché vi è chi ritiene[9] che l’esperto, in qualsiasi momento della procedura di composizione negoziata rilevi che sono venute meno concreta prospettiva di risanamento, debba darne comunicazione all’imprenditore e al segretario della camera di commercio che dispone l’archiviazione dell’stanza di composizione negoziata; e una tale soluzione impedirebbe il ricorso al concordato semplificato perché mancherebbe la dichiarazione che le trattative non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni individuate ai sensi dell'articolo 11, commi 1 e 2, non sono praticabili.
A mio avviso, una volta disposta l’apertura delle trattative per aver l’esperto riscontrata la sussistenza di concrete possibilità di risanamento, il venir meno di questa possibilità deve tradursi non nell’archiviazione, ma nella relazione finale richiamata dall’art. 18, o, se si vuol parlare di archiviazione, che questa, comunque, non escluda la relazione finale che consente l’accesso al concordato semplificato.
Non depone in senso contrario il comma quinto dell’art. 5 lì dove apre la strada all’archiviazione quando l’esperto “non ravvisa concrete prospettive di risanamento, all'esito della convocazione o in un momento successivo” in quanto di questo inciso va data una lettura sistematica in coordinato con le altre disposizioni, prima di tutto dello stesso comma. 
Orbene, il primo periodo di tale comma attribuisce all’esperto l’iniziale compito di “valutare l’esistenza di una concreta prospettiva di risanamento” dell’impresa ed allo scopo- precisa la norma- deve convocare “senza indugio” l’imprenditore e può assumere informazioni “dall’organo di controllo e dal revisore legale ove in carica”. A questo punto la norma pone all’esperto una alternativa secca: a-se ritiene che le prospettive di risanamento sono concrete, apre le trattative incontrando le altre parti interessate al processo di risanamento alle quali prospetta le possibili strategie di intervento fissando i successivi incontri con cadenza periodica ravvicinata; b-se non ravvisa concrete prospettive di risanamento, all'esito della convocazione o in un momento successivo, l'esperto ne dà notizia all'imprenditore e al segretario generale della camera di commercio, che dispone l'archiviazione dell'istanza di composizione negoziata.
Come si vede, la norma detta i passi iniziali che l’esperto deve muovere subito dopo l’accettazione dell’incarico, indicandogli il criterio per orientarsi se dare o non inizio alle trattative e non per dirgli come chiudere le stesse una volta aperte; in questo contesto, la dizione “all’esito della convocazione” è chiaramente riferita alla convocazione dell’imprenditore, che è l’unico soggetto che, secondo la norma, viene convocato dall’esperto, cui si lega quella di “o in un momento successivo”, per significare che il rilevamento della mancanza di prospettive di risanamento che può portare all’archiviazione può avvenire o subito dopo l’audizione del debitore o anche in un momento successivo dopo, ad esempio, aver assunto informazioni dall’organo di controllo, ma pur sempre prima di aprire le trattative con la convocazione degli altri interessati, altrimenti il legislatore avrebbe detto non “o in un momento successivo”, ma “ o in qualsiasi momento della procedura”. 
Interpretazione questa che trova riscontro nel comma 7 dell’art. 16 che, in deroga al compenso minimo per l’esperto stabilito dal comma 2 per il caso di svolgimento delle trattative, fissa il compenso per l’esperto di euro 500,00 quando “l'imprenditore non compare davanti all'esperto oppure quando è disposta l'archiviazione subito dopo il primo incontro”, ossia quando, subito dopo il primo incontro con l’imprenditore, l’esperto rileva che non ricorrono concrete possibilità di risanamento per cui si procede all’archiviazione; se, invece apre le trattative, il comma 3 dell’art. 16 detta i criteri per la determinazione del compenso dell’esperto, che non richiede necessariamente il successo degli incontri (nel qual caso sono previsti incentivi), ma appunto che, a differenza della citata previsione, le trattative siano aperte, tant’è che il comma due dell’art. 16 prevede un minimo di euro 4.000,00 al di sotto del quale la retribuzione non può scendere[10].
Inoltre, il comma ottavo dell’art. 5 prevede che “al termine dell'incarico l'esperto redige una relazione finale che inserisce nella piattaforma e comunica all'imprenditore …”, e questa è la relazione finale richiamata dall’art. 18, essendo evidentemente una sola “la relazione finale” che redige l’esperto, con la quale, qualora dichiari che “le trattative …. non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni individuate ai sensi dell'articolo 11, commi 1 e 2, non sono praticabili”, apre la strada all’accesso al concordato semplificato. Orbene, nel momento in cui, nel corso delle trattative, l’esperto rileva che non sussistono più prospettive di risanamento, l’eventuale l’archiviazione dell’istanza (ove si ammetta tale possibilità) determinerebbe evidentemente la cessazione dell’incarico dell’esperto, il quale, a norma del citato comma ottavo dell’art. 5, dovrebbe comunque redigere una relazione finale, il cui contenuto deve indicare, non solo e non tanto che sono venute meno prospettive di risanamento, ma, principalmente, quale è stato l’esito delle trattative, e cioè se esse sono sfociate in uno degli accordi di cui al primo comma dell’art. 11 o nella possibilità di adire ad un accordo di ristrutturazione oppure se nessuna di queste prospettive si è dimostrata realizzabile, che apre al debitore la possibilità, tra le altre, di accedere al concordato semplificato.
Invero, lo scopo del risanamento dell’impresa è elemento primario e fondamentale della composizione negoziata, per cui, se fin dall’inizio emerge che tale scopo non può essere realizzato, diventa superfluo aprire la fase delle trattative e, di conseguenza, la relativa istanza va archiviata. Qualora, invece, l’esperto ritenga che ricorrono concrete possibilità di risanamento, si aprono le trattative con i creditori e gli altri interessati perché le prospettive di risanamento richiedano di essere valutate sulla base della effettiva possibilità di accordi con i creditori o di una cessione dell’azienda i cui proventi consentano la sostenibilità del debito, per cui in questa fase ciò che rileva non è più tanto il risanamento, quanto trovare un accordo con i creditori che porti a tale risultato.
Questo dato emerge chiaro dal secondo comma dell’art. 2, per il quale il compito dell’esperto è quello di agevolare “le trattative tra l'imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati, al fine di individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di cui al comma 1, anche mediante il trasferimento dell'azienda o di rami di essa”; precisazione che fa capire che il vero scopo della trattativa è trovare un accordo con i creditori, in cui il risanamento rimane sullo sfondo quale finalità ideale (nessuna norma, infatti, si interessa o accenna alla sorte dell’azienda una volta ceduta né pone qualche condizione finalizzata al mantenimento in vita della stessa a garanzia della continuità, come ad esempio fa l’art. 84 CCII).
E’ vero che, a seguito della riscrittura del primo comma dell’art. 9 le trattative possono continuare anche “quando, nel corso della composizione negoziata, risulta che l'imprenditore è insolvente ma esistono concrete prospettive di risanamento”, tuttavia, in questo caso, il legislatore ha espressamente richiesto che il debitore gestisca l'impresa nel prevalente interesse dei creditori, cercando l’improbabile conciliazione dell’interesse di questi con la continuazione dell’attività di una impresa insolvente nella ricorrenza di prospettive di risanamento, la presenza delle quali dovrebbe, quanto meno, essere condivisa dai creditori, seppur nulla è detto in proposito essendosi il legislatore affidato ad un impersonale “quando risulta”. Ossia, proprio questa modifica sta a significare che, nonostante l’insolvenza, la composizione negoziata può legittimamente proseguire purché la gestione non sia meramente conservativa, ma finalizzata alla tutela degli interessi dei creditori in quanto è ravvisabile uno degli exit di cui all’art. 11; di modo che l’esperto, nel momento in cui rileva l’impossibilità di raggiungere questo traguardo, non può fare altro che redigere la relazione finale con cui dà atto che le trattative non hanno avuto successo e che le soluzioni di cui all’art. 11 non sono praticabili.
Del resto, se una parte consistente dei creditori, pensandola diversamente dall’esperto sulle prospettive di risanamento, ritiene inutile trattare o ritiene, pur condividendo l’idea dell’esperto sul future prospettive dell’impresa (che sia o non in stato di insolvenza), di non accettare le proposte fino a quel momento emerse, non si vede come possano essere continuate le trattative né come si possa procedere al risanamento senza la collaborazione dei creditori e altre parti interessare; il che conferma che a guidare l’operato dell’esperto in questa fase non possono essere solo le prospettive del risanamento dell’impresa ma, come precisa il secondo comma dell’art. 2, egli deve agevolare “le trattative tra l'imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati, al fine di individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di cui al comma 1, anche mediante il trasferimento dell'azienda o di rami di essa”. 
Pertanto, quando nel corso delle trattative si riscontra che non sussistono (o già non sussistevano dall’inizio) le pronosticate concrete possibilità di risanamento, non si riproduce la stessa situazione in cui l’esperto si trovava prima di cominciare a sentire i creditori e gli altri interessati, ma si ha la conferma, dopo le consultazioni con i creditori e gli altri interessati, che le trattative finalizzate ad individuare una soluzione concordata idonea al superamento della crisi non hanno avuto esito positivo e che non è possibile un accordo con i creditori. In tal modo, l’esperto implicitamente attesta che è venuta meno la possibilità di risolvere la crisi in un modo che consenta il risanamento dell’impresa salvando la continuità, per cui non rimane che liquidare il patrimonio del debitore quale unica strumento per soddisfare i creditori. E sarebbe davvero illogico che, una volta aperte le trattative (che possono durare fino a 180 giorni prorogabili per un eguale periodo), proprio nel momento in cui si accerta che l’impresa non può essere risanata e si apre l’alternativa della liquidazione, impedire, con la dichiarazione di archiviazione, l’accesso alla procedura di concordato semplificato, che ha la dichiarata funzione di liquidare il patrimonio del debitore quando le altre soluzioni conservative sono risultate inutili.
3 . La procedura. La fase iniziale della presentazione della domanda e effetti della stessa
La proposta di concordato semplificato va presentata entro sessanta giorni dalla comunicazione della relazione finale dell’esperto, resa all’esito del tentativo di composizione negoziata e di cui si è detto; termine evidentemente decadenziale non essendo previste proroghe o eccezioni. Tale proposta, unitamente al piano di liquidazione e alla documentazione richiesta dalla legge, va presentata al tribunale del luogo in cui l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa[11], con un ricorso col quale si chiede contestualmente la omologazione del concordato. 
Nulla è detto circa l’assistenza o meno di un legale, ma considerato che, a norma del primo comma dell’art. 161 l. fall., il ricorso per concordato ordinario può essere sottoscritto dal debitore, a maggior ragione è da escludere la necessità dell’assistenza di un legale per la presentazione del ricorso in discussione, che, sebbene dia impulso ad un procedimento di connotazione sicuramente giudiziale, introduce un procedimento più semplificato di quello ordinario, all’esito, peraltro di un altro procedimento seppur di natura stragiudiziale nel corso del quale già sono stati sentiti i creditori. Nel caso la domanda sia proposta da una società, in mancanza anche qui di qualsiasi indicazione, presumibilmente dovrà essere applicabile la disciplina del codice civile dettata con riferimento a ciascun tipo sociale per la delibera di atti di straordinaria importanza per la vita della società, salva diversa disposizione statutaria, e non la norma speciale di cui all’art. 152 l. fall. non richiamato. 
Nonostante la non felice formula legislativa che attua una inutile scissione tra la presentazione della proposta, di cui al comma 1 dell’art. 18, e la domanda di omologazione di cui al comma 2, che invece sono contestuali e vanno fatte entrambe con lo stesso ricorso[12], si capisce che l’imprenditore deve chiedere con ricorso al tribunale competente l’omologazione del concordato, contestualmente presentando la proposta concordataria, il piano di liquidazione e i documenti indicati nell'art. 161, secondo comma, lettere a), b), c), d), l. fall.; non viene richiamato il terzo comma della stessa norma, per cui il proponente non è tenuto a produrre la relazione dell’attestatore di cui tratta la norma fallimentare, che è sostituita dalla certificazione rilasciata all’esito del tentativo di composizione negoziata circa l’impossibilità di individuare una soluzione idonea al superamento della crisi.
Anche le imprese sotto soglia, come detto, possono proporre domanda di concordato semplificato, giusto il disposto della lett. e) del comma terzo dell’art. 17, ma mentre per esse è dettata una apposita disciplina per la fase negoziale, nulla è detto in ordine al concordato semplificato, per cui valgono le stesse norme poste per le imprese di dimensioni superiori. Piuttosto va rilevato che la condizione per accedere al concordato semplificato indicata nella parte iniziale del comma quarto dell’art. 17, che regge l’intero comma, è poco aderente alla fattispecie; invero, secondo tale comma, “Quando è individuata una soluzione idonea al superamento della situazione di cui al comma 1, le parti possono, alternativamente” adire a varie soluzioni, tra cui quella di proporre una domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all'articolo 18, che, all’evidenza. presuppone, come precisa l’art. 18, che non sia stata trovata una soluzione idonea al superamento della crisi.
Il mancato richiamo dell’art. 161, co. 6, l. fall., nonché l’impianto iniziale che si realizza con la richiesta diretta di omologazione e la sequenza procedurale di cui si dirà in prosieguo portano ad escludere, con sufficiente certezza, che questa nuova figura possa essere preceduta dalla richiesta di concessione di un termine per presentare la proposta e il piano; peraltro il termine decadenziale di 60 giorni dalla comunicazione della relazione finale negativa dell’esperto entro cui il debitore deve presentare domanda di omologa del concordato semplificato coincide con il termine minimo che il tribunale può concedere ai sensi del sesto comma dell’art. 161, l.fall., sicché il debitore, se chiede la concessione di quest’ultimo termine non sarà più in tempo per avvalersi del concordato semplificato per intervenuta decadenza. 
il ricorso, presentato al tribunale, è comunicato al P.M. e pubblicato dal cancelliere nel registro delle imprese entro il giorno successivo alla sua presentazione, in perfetta corrispondenza a quanto previsto dalla prima parte del comma quinto dell’art. 161 e dalla data della pubblicazione del ricorso si applicano gli artt. 111, 167, 168 e 169 l. fall., dispone il secondo comma dell’art. 18.
Trattandosi esattamente degli stessi effetti prodotti dalla presentazione o pubblicazione della domanda di concordato ordinario, non è il caso di soffermarsi sugli stessi, se non per sottolineare qualche aspetto di particolare interesse.
Uno di questi è il richiamo all’intero art. 111, per cui sono da considerare prededucibili i crediti sorti in occasione o in funzione del concordato semplificato. Tra questi sicuramente non vanno compresi i crediti sorti nel corso nella composizione negoziata che precede il concordato sia perché non contratti in funzione della successiva procedura sia perché la prededucibilità nel corso della fase- di natura negoziale e non concorsuale- è legislativamente limitata alle ipotesi di cui alle lett. a), b) e c) del comma primo dell’art. 10 e al compenso dell’esperto (art. 16, co. 11); quelli, invece sorti in corso di concordato semplificato, salvo diversi accordi tra le parti, devono, ove non contestati, essere soddisfatti durante il procedimento man mano che vengono a scadenza, senza necessità di attendere l'omologazione e, comunque, prima del soddisfacimento dei creditori anteriori, con la possibilità del differimento del pagamento in assenza di risorse immediatamente disponibili qualora, nel corso della procedura, vengano momentaneamente a mancare le risorse utili a soddisfare i crediti prededucibili scaduti; la prededucibilità acquisita nel corso del concordato rimane, nei limiti consentiti dal secondo comma dell’art. 11 l. fall., anche nel successivo fallimento. Se contestati, mancando, come in tutti i concordati preventivi, un subprocedimento di accertamento del passivo, le contestazioni vanno risolte dal giudice ordinario e, neanche in via provvisoria, dal giudice delegato, mancando questa figura, nonché la votazione in vista della quale è dettato l’art. 176 l. fall..
Questa scelta di richiamare l’art. 111 non è stata molto felice in ottica futura perché, all’entrata in vigore del CCII, richiederà un profondo adeguamento alla qualificazione della prededuzione data dall’art. 6 del CCII, che, in controtendenza rispetto all’attuale legge fallimentare e agli approdi consolidati della più recente giurisprudenza di legittimità, individua analiticamente le ipotesi di prededuzione; pertanto alle procedure alle quali si applicherà la disciplina del CCII, dovranno essere seguiti i criteri di cui all’art. 6, che non contempla, ovviamente, il concordato semplificato, per cui se questo istituto rimane, la prededuzione, non più regolabile dall’art. 111 l. fall., dovrà essere integralmente rivista per essere adeguata alla futura normativa; il che induce a ritenere che sarebbe stato meglio limitarsi ad attribuire la prededuzione ai crediti sorti nel corso della procedura. 
Il richiamo dell’art. 167 l.fall. ribadisce che anche nel concordato semplificato il debitore, in costanza di procedura, subisce uno spossessamento attenuato che, diversamente da quanto accade nel fallimento, gli consente di conservare l’amministrazione dei beni e la gestione dell’impresa fino all’omologa, seppur sotto la vigilanza dell’organo nominato dal tribunale. Pertanto gli atti indicati dal secondo comma di tale norma sono soggetti all’autorizzazione del giudice che, nel concordato ordinario, è il giudice delegato, la cui nomina non è però contemplata nel concordato semplificato; presumibilmente, quindi l’autorizzazione compete al tribunale, che è l’organo giudiziario chiamato in causa, come, infatti, espressamente risulta dal terzo comma dell’art. 19, che, appunto, richiede l’autorizzazione del tribunale per la vendita del complesso aziendale o rami della stessa o singoli beni prima dell’omologazione. 
L’applicazione dell’art. 168 l.fall. viene incontro all’esigenza di attuare, fin dall’inizio, una protezione del patrimonio del debitore e dell’impresa dalle aggressioni dei creditori, in modo da consentire il buon esito della procedura, in quanto la concorsualità non consente, a tutela dell’interesse collettivo, che ciascun creditore possa conservare l’iniziativa di agire sui beni del debitore. La protezione, infatti, scatta, come nell’ordinario concordato, con l’iscrizione nel registro delle imprese della domanda di concordato, ed anche questa normativa dovrà essere coordinata col il sistema dettato dagli artt. 54 e 55 CCII, completamente diverso (in gran parte ripreso dagli artt. 6 e 7 per le misure protettive nella fase negoziata).
Quanto alla durata, invece, non sembra porsi un problema di coordinamento in ottica futura. E’ vero, infatti, che sia l’art. 6 della Direttiva 20 giugno 2019 n. 1023, (per il cui recepimento è stata fissata la nuova data del 17 luglio 2022) che l’art. 8 del CCII indicano la durata massima di quattro mesi della sospensione delle azioni esecutive individuali, prorogabile fino al termine massimo di dodici mesi, onde evitare che la sospensione leda eccessivamente i diritti dei creditori, ma la struttura del concordato semplificato che, come detto, prevede l’immediata fissazione dell’udienza di omologazione, fa presumere che l’omologa intervenga nel termine indicato. E’ anche vero che le misure protettive sono contemplate anche nella fase della procedura di composizione negoziata, ma la durata di queste non si cumula a quella successiva del concordato giacché, a norma del comma ottavo dell’art. 5, l’esperto, al termine dell’incarico, qualora siano state concesse misure protettive, deve trasmettere la relazione finale, oltre che all’imprenditore, anche “al giudice che le ha emesse, che ne dichiara cessati gli effetti”, per cui con la fine della procedura di composizione negoziata viene meno la precedente protezione del patrimonio e inizia quella derivante dalla iscrizione della domanda di concordato semplificato nel registro delle imprese.
Col richiamo dell’art. 169 l. fall. si rendono applicabili al concordato semplificato, a far data sempre dalla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese- in quanto così disposto da secondo comma dell’art. 18 e non dalla presentazione della domanda, come prescrive l’art. 169 l. fall.-, l'art. 45 e gli artt. da 55 a 63, così come nel concordato ordinario.
4 . Il contenuto della domanda
Avendo la legge qualificato la nuova figura in esame quale concordato per la liquidazione del patrimonio, il contenuto della domanda di omologazione di un tale tipo di concordato è quello tipico di un concordato con cessione dei beni, che, come è noto, nonostante la libertà data al debitore dalla riforma degli anni 2005-2007 di ristrutturare i debiti e soddisfare i creditori “attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni”, che ha attribuito al concordato con cessione dei beni una profonda atipicità, segue nella prassi prevalentemente il modello che si sostanza nella messa a disposizione dei creditori dei beni costituenti il patrimonio del debitore, con trasferimento dei soli poteri gestionali e dispositivi, finalizzati alla liquidazione dei beni, nella loro interezza o particellizzati, e al riparto del ricavato nell’interesse dei creditori.
Il concordato semplificato può avere la stessa struttura, ma ingloba anche la figura di una proposta c.d. chiusa, che contenga la predeterminazione delle modalità della liquidazione, del o degli acquirenti, il prezzo di vendita ecc., preceduta, come spesso avviene, da contratto di affitto di azienda con diritto di prelazione; questa fattispecie è normalmente ascrivibile al concordato con continuità indiretta, ma può rientrare nel concordato semplificato in quanto, come detto fin dall’inizio, l’ottica in cui si muove questa procedura è solo ed esclusivamente liquidatoria, per cui anche la vendita unitaria dell’azienda o di rami della stessa non è considerata sotto il profilo del risanamento dell’impresa, finalità ormai già accantonata a causa dell’esito infausto delle trattative, ma è vista solo come occasione di una più proficua liquidazione.
A differenza del concordato liquidatorio ordinario, per quello in esame non è indicata alcuna soglia minima di soddisfazione dei creditori chirografari quale presupposto di ammissibilità del concordato, né vi è alcun richiamo all’ult. comma dell’art. 160 l.fall. (anzi manca qualsiasi richiamo a questa norma nella sua interezza); pertanto, nel concordato semplificato è inesistente l’obbligo di assicurare ai creditori chirografari il pagamento del 20% minimo, come disposto dall’ult. comma dell’art. 160 l. fall., né è richiesto l’apporto di risorse esterne che incrementi di almeno il 10%, rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale il soddisfacimento dei creditori chirografari, come ulteriormente richiesto dall’ult. comma dell’art. 84 CCII.
Sembrano passati anni luce dal 2015, quando il legislatore, constatato che la libertà lasciata al debitore concordatario di offrire anche una percentuale irrisoria di pagamento ai creditori chirografari non aveva dato buon esito, imprimeva una nuova svolta legislativa nella direzione di un ripensamento della tutela del ceto creditorio con il d.l. n. 83 del 2015, convertito nella legge n. 132 del 2015, aggiungendo nell’art. 160 un ultimo comma che la proposta di concordato con cessione dei beni deve assicurare il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari; introduceva nuovi istituti tesi a favorire la competitività, quali le proposte e le offerte concorrenti di cui agli artt. 163 e 163-bis, e abrogava quel meccanismo cardine di favor per la soluzione concordata della crisi di impresa, introdotto soltanto nel 2012, e costituito dal c.d. silenzio assenso. 
Nessuna nostalgia per la previsione di una soglia minima, ma non può non ricordarsi che tale limite è rimasto anche nel nuovo codice della crisi, anzi è stato rafforzato con l’ulteriore previsione del necessario apporto di risorse esterne tali da incrementare di almeno il 10% rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale il soddisfacimento dei creditori chirografari (art. 84, ult. comma, non modificato dal decreto correttivo n. 147 del 2020), in modo da non privare i creditori del vantaggio che, in tal caso, il concordato liquidatorio effettivamente per loro presenta rispetto all’alternativa della semplice liquidazione giudiziale. 
Pertanto, per accedere al concordato liquidatorio ordinario il debitore deve, oggi, assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell'ammontare dei crediti chirografari. e, dal 16 maggio del 2022, anche incrementare con risorse esterne di almeno il dieci per cento, rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, il soddisfacimento dei creditori chirografari, nel mentre questi vincoli spariscono nel concordato semplificato, senza peraltro una adeguata spiegazione che giustifichi una inversione di tendenza così radicale e improvvisa. Non è una questione di percentuali, ma il fatto che mentre il concordato liquidatorio ordinario è visto, specie nel nuovo codice con tale sfavore, al punto che, quando null’altro v’è da fare, se non liquidare i beni del debitore per soddisfare al meglio le ragioni dei creditori, è preferibile ricorrere alla procedura liquidatoria per eccellenza, a meno che non vi sia un apporto di risorse esterne tale da incrementare di almeno il dieci per cento la soddisfazione dei creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, il concordato semplificato, pur esso di carattere liquidatorio, è visto con particolare favore, al punto da promozionarlo come la soluzione più appetibile tra quelle possibili proprio quando null’altro v’è da fare, se non liquidare i beni del debitore per soddisfare al meglio le ragioni dei creditori, essendo tramontate le velleità di risanare l’impresa o di trovare comunque una soluzione concordata con i creditori.
Il contenuto della proposta del concordato in esame è improntato, quindi, alla massima flessibilità, in cui gli unici criteri da seguire sembrano essere quelli che individuano l’oggetto del giudizio di omologazione e, quindi, rispettare l’ordine delle cause di prelazione, proporre un piano che possa superare il vaglio della fattibilità giuridica ed economica in forza del quale i creditori non vengano a percepire meno di quanto potrebbero ottenere in caso di fallimento e prospettare le utilità, non necessariamente in denaro, per ciascun creditore.
Quest’ultimo requisito, nella carenza del richiamo dell’art. 160 l. fall., costituisce l’unico appiglio che giustifica la corresponsione di un quid, anche non in danaro, ai creditori chirografari; eliminata, tuttavia, la soglia minima di soddisfazione per la categoria dei chirografari, l’utilità per costoro è diventata molto evanescente non dovendo più essere adeguata alla previsione del raggiungimento di un traguardo prefissato dalla legge; se, infatti, non esiste la necessità di assicurare ai chirografari il pagamento del 20%, il debitore, ammesso che debba offrire qualcosa ai creditori chirografari, può promettere qualsiasi percentuale, anche irrisoria se i beni ceduti non consentono di meglio e, quindi, anche l’utilità per i creditori non può che essere parametrata su queste unità di misura.
Conclusione che non muta se si capovolge il discorso e, sparita la percentuale minima di soddisfazione, si pone l’utilità come criterio unico e principale, nel senso che, indipendentemente dalla consistenza patrimoniale del debitore, ai chirografari debba essere comunque assicurata una qualche utilità, anche diversa dal danaro, perché rimane, in tal caso, il problema di stabilire l’entità e la consistenza di questa utilità; ed allora anche il beneficio immediato degli scarichi fiscali”[13], a fronte della dimostrata insoddisfazione del credito, diventa una utilità vantaggiosa. 
In sostanza la previsione della utilità per i creditori consente al debitore di frazionare ancor di più liberamente le modalità di soddisfacimento di costoro, posto che non è necessario offrire modalità estintive in danaro ma è sufficiente fare in modo che i beni messi a disposizione dei creditori assicurino, nei limiti della loro consistenza e in termini di ragionevole certezza, una qualche utilità che può ricomprendere la continuazione o la contrattualizzazione di nuovi rapporti commerciali in caso di cessione di azienda, o qualsiasi altra utilità che il creditore valuti per il creditore rende il concordato preferibile al fallimento; da cui si deduce che la previsione della utilità assume rilievo prevalentemente nel concordatario con continuità aziendale[14].
Né varrebbe dire che una soddisfazione irrisoria sarebbe inidonea a concretare la ricorrenza della causa del concordato nella singola proposta, come si diceva prima della fissazione della soglia minima nel 2015[15], o che una proposta irrisoria sarebbe una proposta priva di causa[16] perché, come acutamente obiettato[17], “quando si è postulato che la causa del concordato è la regolazione della crisi e non il soddisfacimento dei creditori si è implicitamente negato che una proposta irrisoria sia inammissibile perché priva di causa”. Ed, infatti, la Cassazione, con riferimento all’epoca in cui non ancora esisteva un limite minimo di soddisfazione dei creditori chirografari, sebbene un soddisfacimento a costoro dovesse essere dato in base alle previsioni dell’art. 160 l. fall., ha chiarito che “la causa concreta della procedura di concordato preventivo, da intendersi come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha un contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento finalizzato al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore e, nel contempo, all'assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori. In questa prospettiva interpretativa non è possibile individuare una percentuale fissa minima al di sotto della quale la proposta concordataria possa ritenersi - secondo la disciplina applicabile ratione temporis -, di per sè, inadatta a perseguire la causa concreta a cui la procedura è volta”[18]. 
In un sistema del genere giustamente nel decreto legge n. 118 del 2021 non era contemplata la facoltà per il debitore di dividere i creditori in classi e, nel silenzio della legge, il debitore di sicuro non poteva procedere alla classazione in quanto la formazione delle classi introduce un meccanismo eccezionale che altera la parità di trattamento tra creditori che si trovano nella medesima condizione, essendo finalizzata a proporre trattamenti differenziati tra i creditori, che pur trovandosi giuridicamente nella medesima posizione, vengono collocati in classi diverse.
La legge di conversione ha introdotto nel comma primo dell’art. 18 la previsione che “La proposta può prevedere la suddivisione dei creditori in classi”, di modo che il debitore, ove prometta il pagamento di una percentuale ai creditori chirografari, può anche procedere alla classazione degli stessi offrendo trattamenti differenziati. 
Non è stata questa, a mio avviso, una scelta felice, se la si collega alla abolizione del limite di cui all’ult. comma dell'art. 160 l. fall.. Vigendo, infatti, la soglia minima di soddisfazione di cui all’ult. comma dell’art. 160 l. fall., tale libertà trova un contenimento proprio in tale soglia, rimanendo solo da discutere se, nel caso di concordato ordinario con classazione, il limite del pagamento del 20% vada riferito a ciascun creditore, nel senso che a ciascun chirografario deve essere assicurato il pagamento di tale quota, che, quindi, costituirebbe il livello minimo di soddisfazione per ogni classe, o sia possibile una distribuzione differenziata che assicuri il pagamento ad alcune classi di un livello inferiore a quello di legge e ad altre superiore, fermo restando che il complesso delle risorse messe a disposizione debba essere non inferiore al 20% del totale dei crediti chirografari . 
Eliminata nel concordato semplificato la soglia di soddisfazione minima dei creditori chirografari, si vede chiaramente come l’aver concesso al debitore di dividere costoro in classi, gli consenta l’ulteriore libertà di selezionare i creditori che intende privilegiare, inserendoli in determinate classi, con sacrificio di altri, accentuando il rischio di manovre poco trasparenti, tanto più che manca sia la votazione dei creditori - in cui la classazione assume rilievo - sia il controllo del giudice, non essendo riprodotta nell’art. 18 la previsione dell’art. 163, co. 1, l. fall. che assegna al tribunale, quale condizione di ammissione alla procedura concordataria, la valutazione “della correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi”. E questa ulteriore libertà concessa al debitore accentua, altresì, la forza persuasiva che la prospettiva del concordato semplificato assume nel corso delle trattative per la composizione negoziata in quanto i creditori sanno che, all’esito negativo delle stesse, l’imprenditore potrà liberarsi delle sue obbligazioni con un concordato liquidatorio improntato alla massima flessibilità, cui ora si aggiunge l’ulteriore rischio di subire, attraverso la formazione delle classi, un trattamento differenziato, eventualmente punitivo per chi si è opposto ad una soluzione negoziata, rispetto ad altri che si trovano nella stessa posizione giuridica.
La eliminazione della soglia minima di soddisfazione per i chirografari, nel contesto del mancato richiamo dell’art. 160 l. fall., il cui secondo comma prevede il ricorso ad una stima per rapportare il livello di pagamento offerto ai creditori prelatizi alla capienza sui beni gravati, pone l’interrogativo del trattamento di questa categoria di creditori nel concordato semplificato e, cioè, se e a quali condizioni, è possibile la soddisfazione parziale di costoro. E’ difficile pensare che si sia ritornati alla opinione precedente alla decreto correttivo n. 169 del 2007 (che ha introdotto il secondo comma dell’art. 160), secondo cui i crediti prelatizi dovevano essere soddisfatti per intero, perché l’omologazione del concordato semplificato richiede sia il raffronto con la potenzialità realizzativa del beni in una eventuale liquidazione fallimentare, che segna il confine massimo della soddisfazione dei creditori, per cui solo una proposta al di sotto di questo potrebbe essere considerata pregiudizievole per i creditori, sia un controllo sulla regolarità della graduazione prospettata. Offrire, infatti, ad un creditore ipotecario o ad un pignoratizio o ad un privilegiato speciale un importo svincolato dal valore del bene o dei beni gravati, altera l’ordine delle cause di prelazione in quanto non si soddisfa il creditore nella misura data dalla sua garanzia.
5 . La procedura. La fase iniziale. Poteri del giudice
È pacifico, quindi, che l’imprenditore che intende accedere al concordato semplificato non è tenuto a presentare al tribunale competente una domanda di ammissione alla procedura, come invece richiedono l’art. 161 co. 1 l. fall. e l’art. 40 e segg. CCII, ma a questo chiede direttamente l’omologa del concordato, sulla base della proposta e del piano liquidatorio presentati, per cui manca un qualsiasi preventivo vaglio di ammissibilità da parte dell’organo giudiziario; omissione che viene convincentemente spiegata con il fatto che la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa e la non percorribilità di altre soluzioni sono state già esaminate dall’esperto indipendente e rappresentate nella relazione finale che chiude la composizione negoziata.
La mancanza di una decisione sull’ammissibilità esclude che il tribunale possa concedere un termine al debitore per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti, come previsto dal primo comma dell’art. 162 l. fall. e, tanto meno, che possa compiere, in questa fase, una vaglio sulla fattibilità, come consente, invece, l’art. 47 CCII, o che debba emettere un decreto di apertura della procedura, come indicato dall’art. 163, co. 1 l. fall. e dall’art. 47 CCII, tant’è che nella parte finale del comma ottavo dell’art. 18, nel rendere applicabile alla fattispecie l’art. 173 l. fall. si precisa che a tal fine “il decreto di cui al comma 4 (quello con cui il tribunale ordina che la proposta, unitamente al parere dell'ausiliario e alla relazione finale dell'esperto, venga comunicata a cura del debitore ai creditori risultanti dall'elenco depositato) equivale all'ammissione al concordato”, né, infine, il tribunale deve procede alla nomina di un giudice delegato alla procedura, che è figura non contemplata.
In sostanza il tribunale deve solo nominare un ausiliario ai sensi dell’art. 68 c.p.c., e fissare l’udienza per l’omologa e, alla luce di quanto richiesto dal terzo comma dell’art. 18 come propedeutico a tale attività, deve valutare la ritualità della proposta e acquisire la relazione finale dell’esperto con la quale dichiara che le trattative non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni di cui all'articolo 11, commi 1 e 2, non sono praticabili, nonchè il parere reso dallo stesso esperto sui presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte.
Lo scopo dell’acquisizione di tale parere, nella versione del d.l., non era chiara in quanto il terzo comma dell’art. 18 ne prevedeva l’acquisizione unitamente alla relazione finale da parte del tribunale, ma il comma quarto aggiungeva che “Con il medesimo decreto il tribunale ordina che la proposta, unitamente al parere dell'ausiliario e alla relazione finale dell'esperto, venga comunicata a cura del debitore ai creditori risultanti dall'elenco depositato ai sensi dell'articolo 5, comma 3, lettera c)…”, per cui, come si vede, acquisito il parere dell’esperto, nominato l’ausiliario e fissata la data dell’udienza per l’omologa, andava trasmessa ai creditori solo la relazione e non anche il parere dell’esperto, bensì quello dell’ausiliario, il quale, essendo nominato contestualmente al decreto che fissava la comunicazione del suo parere e l’udienza, non aveva certo il tempo per formulare il proprio parere. 
A queste carenze ha ovviato la legge di conversione aggiungendo nel comma terzo che il tribunale, all’atto della nomina dell’ausiliario ai sensi dell'articolo 68 c.p.c., assegna “allo stesso un termine per il deposito del parere di cui al comma 4” e precisando in quest’ultimo che “il tribunale ordina che la proposta, unitamente al parere dell'ausiliario e alla relazione finale e al parere dell'esperto, venga comunicata a cura del debitore ai creditori,
Il legislatore della conversione ha, quindi, statuito che vanno trasmessi ai creditori sia il parere dell’esperto che quello dell’ausiliario e questa innovazione ha il merito di meglio delineare i poteri del giudice in questa fase, contestualmente fornendo la ragione dell’acquisizione del parere dell’esperto.
Per la verità già prima della innovazione si poteva sostenere che l’acquisizione del parere dell’esperto non costituiva oggetto di valutazione nel merito da parte dell’organo giudiziario per stabilire se dar corso alla procedura, nominando l’ausiliario e fissando l’udienza per l’omologa. Se, infatti, il legislatore avesse voluto subordinare tale provvedimento alla verifica dei presumibili risultati della liquidazione attestati dall’esperto, avrebbe dovuto dirlo, disponendo nel terzo comma dell’art. 18, che il tribunale provvede alla nomina dell’esperto e alla fissazione dell’udienza non “valutata la ritualità della proposta” e ”acquisiti la relazione finale … e il parere dell’esperto …” - ove i due verbi utilizzati: valutare e acquisire, sono significativi di diversi comportamenti in quanto solo il primo presuppone un giudizio nel mentre il secondo individua un atto materiale- , ma, quanto meno, “valutata la proposta”, se proprio non si voleva utilizzare una formula più corretta e discorsiva del tipo, “valutati la regolarità della proposta e i presumibili risultati della liquidazione”.. 
La previsione della comunicazione ai creditori anche del parere dell’esperto elimina ogni residuo dubbio in ordine allo scopo dell’acquisizione dello stesso, in quanto fa capire che il tribunale acquisisce tale parere, come la relazione finale dell’esperto, allo scopo di trasmetterlo ai creditori; rimane quindi il dato, oggi più inconfutabile di ieri, che, all’atto della presentazione della proposta di concordato semplificato e della relativa domanda di omologazione, il tribunale - nella carenza di un giudizio sull’ammissione del concordato e stante la rapida scansione che porta al giudizio di omologa, dove invece tale organo è chiamato a una valutazione comparativa tra proposta concordataria e fallimento o liquidazione giudiziale- non debba svolgere controlli di merito sui presumibili risultati della liquidazione; pertanto, ove riscontri la regolarità formale della proposta, che attiene evidentemente alla correttezza del percorso relativo alla presentazione della domanda (presenza della relazione finale e del parere dell’esperto, presentazione del ricorso nel termine di legge, competenza del tribunale adito, ecc.) deve procedere alla nomina dell’ausiliario ex art. 68 c.p.c. ed a fissare la data dell’udienza di omologa, salvo che non rilevi la sussistenza di una manifesta inattitudine del piano a raggiungere gli obiettivi che poi dovranno essere oggetto del giudizio di omologa.
Rimane il fatto che il legislatore non ha indicato quale debba essere il contenuto del parere dell’ausiliario, ma in questa fase iniziale è logico presumere che tale organo non possa che esprimersi (solo o anche) sui presumibili risultati della liquidazione, che costituisce oggetto del parere dell’esperto, di modo che la trasmissione ai creditori sia del parere dell’esperto che di quello dell’ausiliario può creare confusione nei destinatari in caso di difformità di conclusioni. Una volta che si è coinvolto l’esperto nel concordato semplificato, tanto valeva valorizzare il parere di costui disponendo la comunicazione dello stesso ai creditorie e non di quello dell’ausiliario, lasciando che questi, organo della procedura del concordato semplificato, esprimesse la sua opinione, non nella fase iniziale, ma dopo aver avuto la possibilità e il tempo di svolgere i necessari controlli utili per formulare un giudizio documentato, tale da costituire una fonte privilegiata di valutazione da parte del giudice per decidere se omologare o meno il concordato, dato che la nuova norma non ripete la previsione finale del secondo comma dell’art. 180 l. fall., per il quale entro dieci giorni prima dell’udienza fissata per l’omologa “il commissario giudiziale deve depositare il proprio motivato parere”. 
La mancanza di una fase iniziale di ammissibilità svilisce anche l’importanza di un’altra innovazione apportata dalla legge di conversione al primo comma dell’art. 18, il cui incipit è il seguente: “Quando l'esperto nella relazione finale dichiara che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede, che non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni individuate ai sensi dell'articolo 11, commi 1 e 2, non sono praticabili, l'imprenditore può presentare….”.
L’aggiunta della dichiarazione sulla correttezza e buona fede del debitore nella fase delle trattative è molto opportuna in quanto sopperisce alla carenza della versione originaria, nella quale, appunto, mancava qualsiasi accenno alla correttezza del comportamento del debitore nella fase precedente della composizione negoziata, sicchè anche l’imprenditore che, in quella fase, si era reso colposamente non disponibile a concludere un accordo, poteva accedere al concordato semplificato.
Questa giusta esigenza di valorizzare la meritevolezza[19], ponendo come condizione per l’accesso alla procedura la correttezza del comportamento del debitore nella fase precedente della composizione negoziata si scontra, tuttavia, col fatto che è stato posto un requisito di ammissibilità alla procedura senza prevedere una fase di accertamento dei requisiti di ammissibilità. E’ in questa fase iniziale, infatti, che questo controllo sulla dichiarazione dell’esperto dovrebbe essere effettuato giacchè, in presenza di un giudizio negativo di costui, l’imprenditore, secondo la previsione normativa, non può presentare, nei sessanta giorni successivi alla comunicazione della relazione che lo contiene, una proposta di concordato per cessione dei beni e, di conseguenza, un tale giudizio, proprio perché preclude la presentazione della domanda di concordato semplificato, dovrebbe essere verificato nella fase di ammissibilità in modo che tale organo, se condivide il parere negativo dell’esperto, non procede alla nomina dell’ausiliario e alla fissazione dell’udienza, salvo il riscontro di eclatanti ed evidenti incongruenze. 
Mancando una fase di ammissione nella procedura di concordato semplificato, il tribunale a seguito della presentazione della domanda di omologa del concordato semplificato, deve limitarsi a valutare la ritualità della proposta (e tale ritualità ricorre se la relazione dell’esperto contiene il giudizio, positivo o negativo, sulla buona fede e correttezza del comportamento del debitore nella fase della composizione negoziata) e acquisire la relazione finale di cui al comma 1, che ora contiene anche tale giudizio, nonché il parere dell'esperto con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione, allo scopo di trasmetterli entrambi (relazione e parere) ai creditori, i quali, a loro volta, vengono orientati a fare o non opposizione all’omologazione dal giudizio incontrollato dell’esperto.
Del resto, seppur si consentisse al tribunale un controllo sulla veridicità del giudizio dato dall’esperto sulla meritevolezza del debitore nella fase iniziale, non essendo prevista, né compatibile con la struttura organizzativa della procedura, alcuna istruttoria che possa far emergere come si sono svolte le trattative in una fase estranea alla procedura in corso, tale controllo si limiterebbe ad una presa d’atto del parere dell’esperto, che egualmente impedirebbe al tribunale di nominare l’ausiliario e fissare l’udienza, salvo, anche qui, eclatanti ed evidenti incongruenze del giudizio negativo dell’esperto. 
È una anomalia, quindi, aver posto un requisito di ammissibilità alla procedura consistente non in un dato obbiettivo ma in un giudizio dell’esperto (“Quando l'esperto nella relazione finale dichiara che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede …. l'imprenditore può presentare, nei sessanta giorni successivi alla comunicazione di cui all'articolo 5, comma 8, una proposta di concordato per cessione dei beni”) senza prevedere una fase di accertamento dei requisiti di ammissibilità; in tal modo, infatti, l’accesso alla procedura di concordato semplificato è lasciato alla dichiarazione che l’esperto rende sulla buona fede e correttezza del debitore nella fase della composizione negoziata.
Per ovviare a tanto bisogna ammettere che il tribunale, proprio perché non è tenuto nella fase iniziale a valutare la relazione dell’esperto debba, anche in presenza di un giudizio negativo di questi sulla correttezza e buona fede, comunque disporre la nomina dell’ausiliario e fissare l’udienza di omologazione, nella quale concentrare l’accertamento anche della meritevolezza (quando si parlerà della omologa, si vedranno le difficoltà anche a far rientrare nell’oggetto del giudizio questo una valutazione sul merito della dichiarazione dell’esperto).
6 . Sviluppi ulteriori della procedura. Il ruolo dell’ausiliario e l’assenza della votazione
Come si è detto, a seguito della presentazione della richiesta di omologazione del concordato risultante dalla proposta e dal piano di liquidazione, il tribunale, valutata la ritualità della proposta, acquisiti la relazione finale di cui al comma 1 e il parere dell'esperto, nomina un ausiliario ai sensi dell'articolo 68 del codice di procedura civile.
Per la verità non è chiaro, né lo spiega la Relazione, perché il legislatore abbia introdotto questa nuova figura, invece che richiamare quella del commissario giudiziale ben nota, posto che l’ausiliario ha gli stessi compiti, seppur in misura più ridotta come si vedrà, di quest’ultimo, al punto che il comma ottavo dell’art. 18, rende applicabili, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 173,184,185,186 e 236 l. fall. specificando “sostituita la figura del commissario giudiziale con quella dell'ausiliario”.
Tuttavia, qualunque sia il motivo di questa scelta (probabilmente si è voluta evitare una duplicazione di centri decisionali concentrando tutta la procedura nelle mani del tribunale[20]), rimane, a mio avviso, la inopportunità di richiamare la figura dell’ausiliario nominato dal giudice a norma dell’art. 68 c.p.c.. Invero, la nomina dell’ausiliario di cui al codice di rito rientra nella facoltà del giudice che ha bisogno di un esperto in una determinata arte o professione, o comunque sia idoneo al compimento di atti che il giudice non può compiere da solo, nel mentre la nomina dell’ausiliario nel concordato semplificato è, nonostante il richiamo dell’art. 68 c.p.c., obbligatoria in quanto egli è un organo della procedura (che non può svolgersi senza l’attività di tale organo) che partecipa alla gestione, seppur in misura minore di quanto faccia il commissario giudiziale di una procedura concordataria, in modo da fornire al tribunale un strumento di controllo dell'operato dell’imprenditore in concordato rapportato alla semplificazione del rito[21].
E questa distinzione è plasticamente presente nel nuovo testo lì dove, nel quarto comma dell’art. 7, è prevista la nomina dell’ausiliario a norma dell’art. 68 c.p.c. per assistere il giudice nel “procedere agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai provvedimenti cautelari richiesti ai sensi del comma 1 e ai provvedimenti di conferma, revoca o modifica delle misure protettive”, ove appunto si fa ricorso a un organo accidentale e occasionale che presta assistenza al giudice in un particolare frangente e destinato ad esaurire il suo incarico col deposito di una relazione riassuntiva del compimento degli atti specificamente commessigli, onde assicurare il migliore sviluppo della procedura, che è lo scopo per cui l’art. 68 c.p.c. prevede la nomina di un ausiliario. 
Né la nomina di un commissario avrebbe impedito a costui di farsi coadiuvare da un ausiliario ove necessario perché le due figure non sono sostitutive e confliggenti tra loro, ma possono coesistere, come ha chiarito la S. Corte[22], che ha precisato che “ancorché il procedimento concordatario preveda la nomina del commissario giudiziale – se del caso 
anticipata ex art. 161, comma 6, l.fall. – quale figura prestabilita di ausiliario, non è comunque precluso all'organo giudicante di fare ricorso al generale disposto dell'art. 68 c.p.c. per sopperire a peculiari esigenze che si presentino nel corso della procedura onde assicurarne il migliore sviluppo”. 
Questa opzione per l’ausiliario ex art. 68 non è priva di conseguenze. 
In primo luogo, infatti, allontana la figura dell’ausiliario da quelle degli organi tipicamente deputati alla gestione o al controllo delle procedure concorsuali e da quelle regolate dallo stesso d.l. n. 118 del 2021. Di certo, anche l’ausiliario va scelto tra gli iscritti negli albi presso i tribunali (artt. 22 e segg. disp. att. c.p.c.), ma il giudice è libero di individuare tra questi chi ritiene più idoneo al compito che gli assegna, di modo che l’ausiliario è l’unico organo che compare nelle procedure di composizione negoziata e di concordato per la cui nomina non sono richiesti requisiti professionali specifici indicativi di una competenza nelle materie della crisi di impresa, posto che gli esperti devono essere scelti negli elenchi presso le Camere di commercio, l’iscrizione ai quali richiede determinate caratteristiche professionali e un percorso formativo professionale di 55 ore, e per il liquidatore, che viene nominato all’atto dell’omologa, viene richiamato l’art. 182 l. fall., che, a sua volta, richiama l’art. 28 l. fall.[23]. 
Questi ultimi non prestano giuramento, nel mentre l’ausiliario nominato ai sensi dell’art. 68 c.p.c. è un consulente del giudice soggetto al giuramento ed ha un obbligo di accettazione, salvo legittimo impedimento, che discende proprio dalla qualifica dell’ausiliario in applicazione dell’art. 63 c.p.c.. al punto da poter essere perseguito per il reato di rifiuto di ufficio legalmente dovuto (art. 366 c.p.); come del resto induce a ritenere la disposizione del terzo comma dell’art. 18 ove si afferma che “L'ausiliario fa pervenire l'accettazione dell'incarico entro tre giorni dalla comunicazione”, formula ben diversa da quella ridondante del comma quarto dell’art. 5 che riguarda l’accettazione dell’esperto[24].
Benchè la nuova normativa non richiami il primo comma dell’art. 165 l. fall., che attribuisce al commissario giudiziale la qualifica di pubblico ufficiale per quanto attiene all’esercizio delle sue funzioni (né l’art. 30 che attribuisce eguale qualifica al curatore), la stessa va comunque riconosciuta a tale organo, sia perché è espressamente individuato quale ausiliario ai sensi dell’art. 68 c.p.c., sia perché l’art. 357 c.p.- che offre la definizione di pubblico ufficiale, a seguito delle leggi n. 86/90 e n. 181/92, ha focalizzato l'attenzione sulla funzione del soggetto e non più sul ruolo, per cui tale qualifica va attribuita a tutti quei soggetti che "concorrono a formare la volontà di una pubblica amministrazione, che sono muniti di poteri: decisionali, di certificazione, di attestazione di coazione, anche se si tratta di collaborazione saltuaria. pertanto l’ausiliario è tenuto alla denuncia dei reati di cui abbia conoscenza in ragione del suo incarico[25].
Inoltre, il ricorso alla nomina dell’ausiliario ex art. 68 c.p.c. comporta anche conseguenze pratiche rilevanti per l’interessato in quanto, in mancanza di qualsiasi indicazione circa la liquidazione del compenso, è da ritenere che questo vada liquidato secondo le indicazioni degli artt. 52 e 53 disp. att. c.p.c. e art. 49 DPR n. 115 del 2002, ossia secondo e tabelle di cui al d.m. 30 maggio 2002 e succ. aggiornamenti, con una evidente disparità di trattamento rispetto all’esperto e al liquidatore, come rispetto al commissario giudiziale, che poteva essere preso come modello, riducendo di una qualche percentuale il compenso di cui all’art. 5 d.m. 25 gennaio 2012, n. 30 in considerazione del minor carico di lavoro che questi sostiene nel concordato semplificato. 
La figura dell’ausiliario corrisponde, infatti, a quella del commissario giudiziale, ma i suoi compiti sono più limitati in quanto non svolge alcuna delle attività iniziali tipiche del commissario, nè è tenuto alle incombenze di cui all’art. 172 l. fall., per cui non è tenuto a redigere l’inventario del patrimonio del debitore, né a svolgere le indagini per la redazione della relazione, che non è prevista sia perché manca la votazione dei creditori sia anche perché alcune di queste informazioni sulla condotta del debitore e sulle cause del dissesto sono, o dovrebbero essere, contenute nella relazione dell’esperto. 
L’ausiliario, per il richiamo dell’art. 167 l. fall. contenuto nel secondo comma dell’art. 18, esercita la vigilanza sull’attività del debitore, come in un qualsiasi concordato preventivo, e rileva eventuali fatti e circostanze interessanti ai fini del sub procedimento di cui all’art, 173 l. fall.[26], espressamente richiamato dal comma ottavo dell’art. 18 e, quando il piano di liquidazione prevede una offerta di acquisto dell’azienda, di rami della stessa o di singoli beni che deve essere accettata prima della omologazione, dà esecuzione all’offerta e, quindi alla vendita, verificata l'assenza di soluzioni migliori sul mercato (comma terzo art. 19 d.l. n. 118 del 2021).
Come si è già accennato nulla è detto circa un parere finale dell’ausiliario, assunto dopo qualche indagine e valutazione più approfondita di quella iniziale, tuttavia, considerato che il tribunale in sede di omologa deve svolgere una serie di valutazioni che, come si vedrà, investono la fattibilità e la convenienza del concordato per i creditori, non è da escludere che tale organo chieda all’ausiliario di rivalutare quel parere iniziale previsto dal comma quarto dell’art. 18, in modo da consentirgli di prendere una decisione, sia sulle opposizioni sia finale sull’omologazione, basata non solo sugli esiti dei mezzi istruttori assunti, richiesti dalle parti o disposti d'ufficio, e sulla documentazione acquisita, ma che sia corroborata dalle indagini svolte dall’organo della procedura., 
Il richiamo contenuto nell’ult. comma dell’art. 18 all’art. 185 l. fall. comporta che l’ausiliario non cessa la sua attività con l’omologa, giacchè in forza della norma richiamata egli deve sorvegliare l'adempimento del concordato e, quindi l’opera del liquidatore, secondo le modalità stabilite nel decreto di omologazione e deve riferire al giudice ogni fatto dal quale possa derivare pregiudizio ai creditori. Questa è, comunque, l’unica parte della norma dell’art. 185 (unitamente all’applicabilità dell’art. 136) compatibile con il concordato semplificato perché nella restante parte introdotta nel 2015, il legislatore si è preoccupato di prevedere alcuni possibili interventi sul debitore che rimane inerte o addirittura assume comportamenti ostruzionistici nella esecuzione di proposte concorrenti omologate, dato che nella nuova procedura non sono ipotizzabili proposte alternative[27].
Il fatto che l’imprenditore che intende accedere al concordato semplificato debba chiedere al tribunale non l’ammissione alla procedura, bensì direttamente l’omologazione, fa capire che la proposta del debitore non è soggetta all’approvazione dei creditori, che dovrebbe manifestarsi attraverso il voto nella fase antecedente al giudizio di omologazione, come è confermato dalla mancanza di qualsiasi previsione sulla votazione e sulle maggioranze nonchè dal mancato richiamo della relativa disciplina fallimentare dettata per gli ordinari concordati.
Il concordato senza voto non costituisce una novità assoluta in quanto è previsto in materia bancaria (art. 93 t.u.b.) ed assicurativa (art. 262 codice assicurazioni), nella liquidazione coatta amministrativa (art. 214 l. fall.), nell’amministrazione straordinaria (art. 78 l. 270/1999) e nel caso del piano del consumatore in tema di sovraindebitamento (art. 12 bis l. 3/2012). Tuttavia, in quest’ultima fattispecie la mancanza del voto dei creditori si spiega agevolmente con le prevedibili ridotte dimensioni della crisi rapportata ad “una persona fisica che non abbia svolto attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale”, per cui trova giustificazione una procedura semplificata al massimo proprio nell’ottica di agevolare una soluzione concordataria altrimenti troppo complessa e costosa, tant’è che la votazione dei creditori è ripresa nell’accordo di ristrutturazione dei debiti del sovraindebitato (art. 11 l. n. 3 del 2012) come nel corrispondente concordato minore del CCII (art. 79 CCII). Nelle altre ipotesi di concordati coatti, la mancanza del voto è giustificata dalla natura degli interessi pubblicistici perseguiti, che prevalgono su quelli del ceto creditorio, nonchè dalla necessità dell’autorizzazione alla presentazione del concordato da parte dell’Autorità amministrativa che vigila sulla procedura e, si tratta comunque di concordati che intervengono nel corso delle indicate procedure, come il concordato fallimentare. Ad ogni modo, la peculiarità dell’odierno concordato semplificato è che esso non costituisce, come queste altre figure, l’unico strumento per risolvere la crisi di un certo tipo di impresa che abbia determinate caratteristiche dimensionali o di specializzazione oggettiva, ma costituisce uno strumento che si aggiunge ad altro dello stesso tipo producendo gli stessi effetti del concordato preventivo con cessione dei beni, per cui la privazione del diritto di voto per i creditori non trova alcuna giustificazione valoriale e si pone in contrasto con il carattere concorsuale della nuova procedura. 
Non persuade, infatti, la spiegazione fornita nella Relazione[28] che questo forte ridimensionamento del ruolo dei creditori trovi una giustificazione nel fatto che il concordato semplificato costituisce uno sbocco della negoziazione precedente, nella quale i creditori sono stati già coinvolti, sia perché manca qualsiasi garanzia che siano stati sentiti tutti[29], sia perchè nell’ambito della composizione negoziata l’ottica in cui le trattative si sono svolte era quella di trovare soluzioni praticabili per prevenire la crisi o per raggiungere il risanamento aziendale, nel mentre nel concordato semplificato- che presuppone il fallimento delle precedenti trattative- l’ottica è prettamente liquidatoria, per cui sarebbe quanto mai opportuno appurare come la diversità di opinioni già raccolte sulle prospettive risanatorie dell’impresa si traduce in un voto su una nuova proposta di carattere liquidatorio, completamente diversa dalle precedenti eventualmente formulate; né si recupera la pienezza delle facoltà creditorie con la concessione del diritto della opposizione all’omologazione in quanto questo è uno strumento meno efficace e più costoso (è necessaria l’assistenza di un legale) della manifestazione di un voto negativo e, comunque, il diritto stesso viene compresso in un termine abbastanza ristretto, come meglio si vedrà trattando del giudizio di omologazione. 
Né, infine l’abolizione del voto trova una giustificazione nella celerità cui è improntata la nuova procedura perché, a questo fine sarebbe bastato abolire l’adunanza, e non il voto, come accade nel concordato fallimentare e come prevede il nuovo CCII anche per il concordato preventivo, dando così ai creditori la possibilità di esprimersi su una questione che riguarda principalmente i loro diritti e, principalmente, di fare essi quella fondamentale valutazione di convenienza se aderire alla proposta o preferire la dichiarazione di fallimento, invece che rimetterla soltanto al tribunale.
7 . La fase dell’omologa. La fissazione dell’udienza, l’istruttoria, la decisione, l’impugnazione, gli effetti
Come si è già anticipato, il tribunale, valutata la ritualità della proposta, acquisiti la relazione finale di cui al comma 1 e il parere dell'esperto, nomina un ausiliario ai sensi dell'articolo 68 c.p.c., assegnando allo stesso un termine per il deposito del parere e col medesimo decreto “ordina che la proposta, unitamente al parere dell'ausiliario e alla relazione finale e al parere dell'esperto, venga comunicata a cura del debitore ai creditori risultanti dall'elenco depositato ai sensi dell'articolo 5, comma 3, lettera c)” a mezzo Pec “e fissa l’udienza per l’omologazione”, con una formula abbastanza imprecisa in quanto sembrerebbe che la fissazione dell’udienza per l’omologa non sia oggetto della comunicazione ai creditori; è chiaro, invece, che anche (e principalmente) la data fissata per l’udienza di omologazione debba essere comunicata ai creditori, dal momento che questi, possono proporre opposizione costituendosi nel termine perentorio di dieci giorni prima dell'udienza fissata; operazione che richiede la conoscenza della data dell’udienza che evidentemente va comunicata unitamente agli altri elementi espressamente sottolineati dalla norma. 
Probabilmente sarebbe stato meglio scrivere “Con il medesimo decreto il tribunale fissa la data dell'udienza per l'omologazione e ordina che questo, unitamente alla proposta del debitore, al parere dell'ausiliario, alla relazione finale dell'esperto e al parere dello stesso, venga comunicato, a cura del debitore, che deve indicare dove possono essere reperiti i dati per la valutazione della proposta, ai creditori risultanti dall'elenco depositato ai sensi dell'articolo 5, comma 3, lettera c), ove possibile a mezzo posta elettronica certificata, entro il termine di giorni tot, dalla comunicazione del presente decreto al debitore stesso; raggiungendo, in tal modo, anche l’effetto di far conoscere al debitore il provvedimento e, principalmente, di porre a lui un termine per la comunicazione del provvedimento ai creditori, diventato indispensabile per la tutela dei diritti dei creditori a seguito di una delle modifiche apportate in sede i conversione al quarto comma dell’art. 18,.
Invero, secondo la previsione originaria del decreto legge, “tra il giorno della comunicazione del provvedimento e quello dell'udienza di omologazione devono decorrere non meno di trenta giorni, per cui, dovendo l’opposizione essere proposta mediante costituzione in giudizio almeno dieci giorni prima dell’udienza, i creditori avevano a disposizione venti giorni per esaminare la proposta e la documentazione e proporre opposizione all’omologazione[30]; in questo sistema, l’eventuale ritardo del debitore nel provvedere alla comunicazione del provvedimento che fissava l’udienza non pregiudicava i creditori, dato che per essi il termine dei venti giorni a disposizione per costituirsi decorreva pur sempre dalla data del ricevimento della comunicazione.
La legge di conversione, avendo assegnato, nel comma 3 dell’art. 18, all’ausiliario un termine per il deposito del parere da comunicare ai creditori, ha poi stabilito, nel comma quarto, che “tra la scadenza del termine concesso all'ausiliario ai sensi del comma 3 e l'udienza di omologazione devono decorrere non meno di trenta giorni”. In tal modo, il tempo dato ai creditori per proporre opposizione inizia a decorrere, non più dalla comunicazione della fissazione dell’udienza, bensì dalla scadenza del termine dato all’ausiliario per redigere il suo parere, ovviamente precedente alla comunicazione, posto che con questa deve essere trasmesso il parere depositato dall’ausiliario. Inoltre, qualora il debitore – al quale è affidata la comunicazione ai creditori, sebbene non sia previsto che sia messo a conoscenza del tempo concesso all’ausiliario- non sia sollecito nell’adempiere al suo compito informativo verso i creditori, viene ulteriormente accorciato il tempo a disposizione dei creditori per l’opposizione, la cui proposizione è rimasta perentoriamente fissata nei dieci giorni prima dell’udienza di omologazione; non si può dire che sia una soluzione molto garantista se si considera che una tale compressione avviene proprio nel momento in cui la mancanza del voto dovrebbe facilitare l’esercizio del diritto dei creditori di esprimere la loro motivata opinione.
Il provvedimento di cui al quarto comma dell’art. 18, benchè contenga la fissazione dell’udienza di omologazione, non è soggetto a pubblicazione in quanto non è ripetuto il primo comma dell’art. 180 nella parte in cui dispone che l’analogo provvedimento del giudice delegato va “pubblicato a norma dell'articolo 17” e non è impugnabile ex art. 26 l.fall. perché manca il richiamo di tale norma e, correttamente, non sono previste altre forme di reclamo posto che comunque il tribunale deve valutare in sede di omologazione, contestualmente fissata, la regolarità della procedura, tra cui rientra anche la rituale fissazione dell’udienza e il rispetto dell’intervallo di tempo di cui al quarto comma dell’art. 18. 
Costituendo il giudizio di omologazione una fase necessaria del procedimento di concordato cui si perviene attraverso la fissazione della relativa udienza da parte del tribunale, questo provvedimento va indubbiamente iscritto a ruolo; nel silenzio su chi debba provvedere a tale incombente, è opportuno rifarsi ai traguardi raggiunti nell’interpretazione dell’art. 180 l. fall., secondo cui è il debitore in quanto parte formale e sostanziale e, quindi, necessaria a dovervi provvedere, pena l'improcedibilità del giudizio, equivalendo l’omessa iscrizione a rinuncia implicita, con conseguente nullità del decreto di omologa eventualmente emesso[31]. 
“Il tribunale assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio, omologa il concordato quando, verificata la regolarità del contraddittorio e del procedimento, nonché il rispetto dell'ordine delle cause di prelazione e la fattibilità del piano di liquidazione, rileva che la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all'alternativa della liquidazione fallimentare e comunque assicura un'utilità a ciascun creditore”, dispone il quinto comma dell’art. 18.
Da questa definizione emergono immediatamente alcune rilevanti differenze rispetto alla disciplina dell’omologazione del concordato ordinario.
a-Non essendo prevista una votazione, non vi sono dissenzienti per cui l’opposizione può essere proposta da qualsiasi creditore. E tanto, a mio parere, esclude anche la possibilità del cram down di cui alla prima parte del quarto comma dell’art. 180, sia per il mancato richiamo di tale norma, sia perché possono richiederlo “un creditore appartenente ad una classe dissenziente ovvero, nell’ipotesi di mancata formazione delle classi, i creditori dissenzienti che rappresentano il venti per cento dei crediti ammessi al voto”, che contestano la convenienza della proposta[32], sia, infine, perchè il tribunale, come si evince dalla disposizione richiamata, deve comunque valutare, per omologare il concordato, che ii creditori possano risultare soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili
A maggior ragione è da escludere il cram down fiscale e previdenziale di cui alla seconda parte del quarto comma dell’art. 184 l. fall.[33], perché, oltre al fatto che i creditori non sono chiamati ad esprimersi e proprio il silenzio o voto negativo costituisce motivo dell’intervento sostitutivo del giudice, non è richiamato l’art. 182-ter, che poggia necessariamente sulla relazione di un professionista circa la recuperabilità in ambito liquidatorio, non richiesta nel concordato semplificato[34]; del resto, la già accennata flessibilità, inserita in una struttura volutamente elementare, che consente, rispettato l’ordine della graduazione delle cause di prelazione, di offrire ai creditori qualsiasi soddisfazione, salvo a valutarne la convenienza e l’utilità per i creditori, opera anche nei confronti dell’Agenzia delle entrare e degli enti previdenziali, la posizione dei quali è equiparata a quella degli altri creditori privilegiati e chirografari per i rispettivi crediti; 
b-Non è ripetuto nell’art. 18 il modello contenuto nell’art. 180 l. fall., che disciplina differentemente il procedimento, pur sempre camerale, a seconda che vengano o meno proposte opposizioni all'omologazione, per cui le indagini sopra indicate il tribunale deve svolgerle che siano o non proposte opposizione; ovviamente in caso di opposizioni, assumendo il procedimento carattere contenzioso, ricorrerà la necessità di svolgere l’attività istruttoria richiesta dalle parti, per cui l’approfondimento delle questioni da trattare sarà sicuramente maggiore dovendo il tribunale dare una risposta ai rilievi mossi dagli opponenti. 
Questa diversa organizzazione si riflette anche sull’aspetto istruttorio in quanto la nuova norma riprende la formula del comma quarto dell’art. 180 l. fall., secondo la quale, in caso di opposizioni, il tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio, estendendola a tutti i procedimenti di omologazione, che siano o non presentate opposizioni, di modo che nel concordato semplificato il tribunale può sicuramente disporre mezzi istruttori d’ufficio, anche in mancanza di opposizioni, superando i dubbi circa l’estensione dei poteri istruttori d’ufficio nel caso non siano proposte opposizioni che nascono dalla laconica formulazione del terzo comma dell’art. 180.
c-L’art. 18, a differenza di quanto previsto dall’art. 180 l. fall. che non predetermina l’oggetto del giudizio di omologa del concordato preventivo (ed egualmente dall’art. 129 l. fall. per l’omologa del concordato fallimentare), definisce l’oggetto di tale giudizio individuandolo nelle materie di cui si dirà. e, in tal modo, circoscrive anche l’oggetto delle opposizioni, che non possono riguardare argomenti estranei a quanto individuato dal comma quinto dell’art. 18. Da un lato, quindi, il tribunale recupera quei poteri di cui godeva anteriormente alla riforma iniziata nel 2005, quando svolgeva un ruolo penetrante nell'ambito della procedura che si estendeva fino a poter valutare la convenienza del concordato rispetto alla liquidazione fallimentare, ma, dall’altro, viene delimitata l’area dell’indagine alle materie prefissate, che, per la verità, assorbono quasi l’intero campo delle valutazioni rilevanti per l’omologa. 
Tuttavia la definizione legislativa dell’astratto thema decidendum esclude la possibilità di esaminare questioni che in esso non rientrano, quale, ad esempio, il controllo nel merito della valutazione dell’esperto sulla meritevolezza del debitore, qualora si ritenga, come ipotizzato trattando di questa questione, che il tribunale, pur in presenza di un giudizio negativo sulla correttezza e buona fede del debitore nella fase negoziale, debba comunque nominare l’ausiliario e fissare l’udienza per l’omologazione. Nel momento in cui il nuovo legislatore crea un sistema che, scostandosi dai modelli esistenti, definisce legislativamente l’oggetto del giudizio di omologazione, l’introduzione della valutazione dell’esperto sulla correttezza e buona fede del debitore nella fase negoziale avrebbe dovuta essere bilanciata dalla integrazione del contenuto del comma quinto dell’art. 18, che delinea l’oggetto del giudizio di omologazione del concordato semplificato, in modo da estenderlo anche alla verifica del nuovo requisito.
Orbene, seguendo i dati forniti dal quinto comma dell’art. 18, il primo compito del tribunale è controllare la regolarità dello svolgimento della procedura, che, invero, è un’attività connaturata all’omologa, che evidentemente non può essere dichiarata ove la procedura non si sia svolta regolarmente o non sia rispettato il principio della graduazione delle cause di prelazione; nel caso del concordato semplificato, la mancanza del voto e delle maggioranze elimina gran parte del contenzioso sulla regolarità dello svolgimento del concordato e la semplificazione estrema del rito rende più semplice e agevole anche questo controllo. 
Egualmente non rappresenta una novità la verifica che la proposta assicuri un'utilità a ciascun creditore, di cui si è già parlato, posto che già oggi la lett. e) del secondo comma dell’art. 161 l. fall., prevede che “in ogni caso, la proposta deve indicare l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”; disposizione che individua uno dei presupposti per la stessa ammissione del concordato (cfr. art. 162 l. fall.), ancor più stringente di quello indicato dal nuovo d.l., che non richiede che l’utilità sia “specificamente individuata ed economicamente valutabile”, il che lascia un maggior margine all’interprete[35].
Sulla valutazione della fattibilità sono ben note le soluzioni interpretative della legge fallimentare, che ammettono la verifica della fattibilità giuridica ma escludono quella economica, salvo che il piano non risulti a prima vista non realizzabile; ma questa situazione è destinata a mutare con l’entrata in vigore del nuovo codice che ha reintrodotto la verifica della fattibilità del piano concordataria, sia al momento dell’ammissibilità (art. 47, co. 1, CCII) sia al momento dell’omologa (art. 48, co. 3, CCII), sicchè, se è vero che la nuova norma crea una frattura con l’attale legge fallimentare, in realtà anticipa in parte un caposaldo del futuro concordato. 
Per la verità il comma quinto dell’art. 18 richiede una verifica della fattibilità del piano di liquidazione, senza alcuna aggettivazione, a differenza delle citate norme del CCII che parlano di fattibilità economica, ma non può mettersi in dubbio che anche la nuova norma faccia riferimento a questo tipo di fattibilità perché quella giuridica, che oggi svolge il giudice nel concordato preventivo, rientra implicitamente nella sfera dei poteri omologatori del tribunale, come accade infatti oggi nel concordato preventivo; pertanto l’aver previsto esplicitamente che il tribunale omologa il concordato verificata la fattibilità del piano è chiaro indice della volontà di introdurre un controllo sulla fattibilità economica. 
Il tribunale deve infine appurare che “la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all'alternativa della liquidazione fallimentare”, dizione che introduce un giudizio sulla convenienza, anche se la semplice mancanza di un "pregiudizio" per i creditori è concetto più ristretto di quello della convenienza. La ricerca della convenienza richiede, infatti, il riscontro in positivo di un vantaggio per i creditori rispetto allo scenario alternativo del fallimento, nel mentre per la mancanza di pregiudizio è sufficiente l’accertamento dell’assenza di un danno rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare e, quindi, che i creditori ricevano un trattamento economico almeno pari a quello che loro ricaverebbero dalle altre soluzioni alternative; di conseguenza, pur non trovando applicazione l’ult. comma dell’art. 160 l. fall., la soglia minima di soddisfazione è costituita da quella presuntivamente ricavabile dalla liquidazione fallimentare.
Questa indagine sulla convenienza, o meglio sulla mancanza di pregiudizio per i creditori, non si sostanzia in una valutazione bilanciata tra il pregiudizio delle ragioni dei creditori e la prosecuzione dell’attività d’impresa, e tanto meno può incentrarsi sul mantenimento dei livelli occupazionali (esigenza presente nell’art. 84 CCII), giacchè, come detto fin dall’inizio di questo scritto, il concordato semplificato è qualificato e strutturato dalla legge come un concordato esclusivamente liquidatorio, al quale è estranea ogni valorizzazione della continuità, rilevando la cessione unitaria dell’azienda esclusivamente quale strumento per la migliore recovery dei creditori, come appunto in ogni concordato liquidatorio. Di conseguenza la valutazione di convenienza deve incentrarsi solo ed esclusivamente sul raffronto tra il presumibile ricavo realizzabile nel concordato in attuazione del piano di liquidazione (sia che questo preveda la vendita del complesso aziendale che analitica dei singoli beni), con quella omologa eventualmente realizzabile nel fallimento, oltre a tener contro delle altre eventuali entrate (ad es. da revocatoria) o risparmi (ad es. per minori spese) che l’una o l’altra procedura possono consentire. 
Peraltro, le possibilità revocatorie teoricamente realizzabili nell’eventuale alternativo fallimento vanno valutate tenendo conto della mancata riproduzione nel nuovo concordato di una norma che faccia decorrere il periodo sospetto ai fini delle revocatorie fallimentari dalla data di pubblicazione della richiesta di nomina dell’espertoo che, a somiglianza dell’art. 69-bis l. fall., faccia retroagire gli effetti del fallimento alla data di pubblicazione della domanda di concordato. Di conseguenza, iniziando tale periodosospetto a decorrere dal momento della dichiarazione di fallimento, salta la possibilità di revocare ai sensi del secondo comma dell’art. 67 l. fall. sicuramente gli atti e i pagamenti antecedenti alla nomina dell’esperto, ma anche gran parte degli atti e pagamento in contrasto con gli interessi dei creditori compiuti nel corso della composizione negoziata, se si pone mente al fatto che il percorso negoziale può avere la durata massima di centottanta giorni, prorogabili di altri centottanta giorni, cui vanno aggiunti i sessanta giorni dalla comunicazione della chiusura della prima fase per chiedere l’omologa del concordato semplificato nonché il tempo di durata di quest’ultimo prima di pervenire all’omologazione e alla eventuale dichiarazione di fallimento.
Orbene, se nella prospettiva liquidatoria in cui si muove il concordato semplificato, la convenienza poggia, come detto, su valutazioni esclusivamente economiche, non si vede perché debba essere il tribunale a verificare la convenienza per i creditori della soluzione concordataria rispetto al fallimento o a giudicare le utilità che possono questi ricevere e non i creditori stessi, lasciando loro il diritto di esprimersi con il voto; voto che, come già detto, eliminata l’adunanza dei creditori, come previsto dal CCII, potrebbe raccogliersi a mezzo Pec in tempi brevi, conciliabili con la velocità che si è intesa imprimere alla procedura e che giustifica l’abolizione della votazione. 
Il Tribunale decide sull’omologa con decreto motivato immediatamente esecutivo[36], così come dispone il quinto comma dell’art. 180 l. fall.. Tale decreto (a differenza di quello che fissa l’udienza) va pubblicato a norma dell'art. 17 l. fall. e va comunicato dalla cancelleria a tutte le parti del giudizio di omologa- debitore, ausiliario e creditori costituiti - e non, come nel concordato ordinario, solo ai primi due, lasciando poi al commissario il compito di darne notizia ai creditori.
I destinatari della comunicazione nei successivi trenta giorni, possono proporre reclamo alla corte di appello ai sensi dell’art. 183 l.fall.. 
Mancando il richiamo del terzo comma dell’art. 180, che esclude la reclamabilità nel caso di decreto di omologazione in assenza di opposizioni, il reclamo in esame è possibile sia che il decreto abbia negato l'omologazione (in presenza o in assenza di opposizioni), sia che l’abbia concessa, anche in tal caso in presenza o in assenza di opposizioni e non come nel l’ordinario concordato solo in presenza di opposizioni; ovviamente, l’impugnazione di un provvedimento di omologa in mancanza di opposizioni è ipotesi poco probabile, ma pur sempre possibile, per es. ad opera del debitore qualora il tribunale abbia modificato inopinatamente una clausola del piano o non abbia accolto il nominativo del liquidatore indicato, ecc....
Il mancato richiamo del settimo comma dell’art. 180 l. fall. non esclude, invece, che il tribunale qualora non omologhi il concordato possa contestualmente pronunciare il fallimento con sentenza, sia perchè il ricorso iniziale è comunicato al P.M., che può quindi formulare domanda di fallimento in vista della definizione negativa dell’omologa, sia perché, non essendo vietata in quel momento (ossia dopo il rigetto dell’omologa) la pronuncia di insolvenza, nulla impedisce che questa possa essere emessa contestualmente al decreto di rigetto dell’omologa, ricorrendone ovviamente i presupposti.
In questo caso il reclamo avverso la sentenza coinvolge anche il rigetto dell’omologa, nel mentre si corre il rischio di conflitto di giudicati (che il secondo comma dell’art. 183 tende ad evitare) nel caso di non contestuale dichiarazione del fallimento, che intervenga invece in un momento successivo, perché qui il debitore, che ha già impugnato il decreto di rigetto dell’omologa, può reclamare la sentenza di fallimento; rischio evitato nel concordato ordinario proprio con la non impugnabilità del decreto di rigetto dell’omologa, non accompagnato da pronuncia di fallimento, quanto meno in caso di assenza di opposizioni e ovviabile, nella specie in esame, con la riunione dei procedimenti ove possibile o con la sospensione di quello avente ad oggetto il reclamo avverso la sentenza di fallimento, essendo pregiudiziale l’accertamento della non omologabilità del concordato. 
Mancando la categoria dei creditori dissenzienti in assenza di una votazione, legittimati all’impugnazione sono coloro i quali abbiano rivestito la qualità di parte per essersi costituiti nel giudizio di omologa e qui abbiano assunto una posizione risultata soccombente. In conformità degli approdi della giurisprudenza con riferimento al commissario[37], è da ritenere che anche l’ausiliario, parte formale del procedimento, che deve partecipare al giudizio come legittimato passivo, non sia legittimato al reclamo, poiché non è portatore di specifici interessi da far valere, in sede giurisdizionale, in nome proprio o in veste di sostituto processuale.
A sua volta la Corte d’appello, che procede al riesame dell'intero processo deduttivo che ha portato alla pronuncia negativa (o positiva) sull’omologa, decide con decreto ricorribile in cassazione nei successivi trenta giorni dalla data della comunicazione. Quest’ultima è una giusta precisazione, che sopperisce al silenzio dell’art. 183 l. fall., che la giurisprudenza aveva superato ammettendo il ricorso straordinario in cassazione ai sensi dell’art. 111, co. 7 Cost.; l’attuale previsione apre la strada all’ordinario ricorso in cassazione averso la decisione della Corte d’appello. 
L’ult. comma dell’art. 18 dispone che al concordato semplificato “Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 173,184,185,186 e 236 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, sostituita la figura del commissario giudiziale con quella dell'ausiliario”; il che significa che l’omologazione del concordato semplificato produce gli stessi effetti del concordato liquidatorio ordinario.
Degli artt. 173 e 185 si è già accennato, degli altri merita attenzione l’art. 184, che costituisce un cardine fondamentale del concordato in quanto vincola i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda dì concordato preventivo, compresi quelli dissenzienti, al rispetto degli effetti esdebidatori derivanti dall’omologazione; nella fattispecie in esame, la precisazione della vincolatività per i dissenzienti è superflua perché, mancando una votazione e la possibilità di esprimere un dissenso se non in sede di opposizione, il richiamo di tale norma ha lo scopo di sancire l’obbligatorietà della proposta omologata per tutti i creditori concorsuali. 
Infine, benchè non richiamato l’art. 181 l. fall., con l’omologa la procedura di concordato preventivo si chiude, non sussistendo più ragione di continuare, e inizia la fase della liquidazione.
Il richiamo dell’art. 186 rende applicabile alla fattispecie in esame la risoluzione negli stessi termini in cui questa è consentita nell’ordinario concordato, e attraverso questo l’annullamento. Qualora la semplificazione introdotta si traduca in una indicazione generica che non contenga l’esposizione dei tempi di adempimento, il ricorso a tale istituto, che nell’art. 186 è soggetto al termine di decadenza di cui al terzo comma, diventa esercitabile senza limiti, posto che, secondo il consolidato indirizzo della S. Corte, nel caso in cui non sia stata fissata, nel concordato, la data di scadenza dell'ultimo adempimento, il termine annuale di cui all’art. 186 “decorre dall'esaurimento delle operazioni di liquidazione, che si compiono non soltanto con la vendita dei beni dell'imprenditore, nonché con la predisposizione e comunicazione del piano di riparto, ma anche con gli effettivi pagamenti, compresi quelli conseguenti ad eventuali sopravvenienze attive”[38]; sempre che, naturalmente, vi siano disposti a sobbarcarsi all’onere anche economico di un procedimento per la risoluzione.
Il richiamo dell’art. 236 l. fall. nella sua interezza fa sì che lo strumento del concordato semplificato sia inserito tra le procedure cui la norma di carattere penalistico fa riferimento e che lì dove nell’art. 236 si prevede che nel caso di concordato preventivo si applicano le disposizione di cui ai successivi quattro numeri bisogna intendere che dette disposizioni sono applicabili anche nel caso di concordato semplificato, salvo verifica di compatibilità per ciascuna, che mi sembra sussistere, sostituendo ovviamente l’ausiliario al commissario giudiziale. Non vi è dubbio che, come è stato immediatamente sottolineato[39], l’estensione al concordato semplificato delle fattispecie di bancarotta fraudolenta diventa problematico in quanto le stesse non sono espressamente richiamate in via diretta e il doppio rinvio non sembra una tecnica idonea a perseguire tutte le possibili condotte depauperatorie che si dovessero riscontrare in una fase di mera crisi aziendale; tuttavia il dato del tutto pacifico della natura concorsuale del nuovo istituto e del richiamo dell’art. 236, seppur espressione di una tecnica non perfetta, non dovrebbe escludere l’applicazione alla nuova figura di tutte le ipotesi di reato contemplate o richiamate dalla norma penalistica.
8 . La fase della liquidazione
Con il decreto di omologazione, il tribunale nomina un liquidatore, al quale si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 182 l. fall., dispone il primo comma dell’art. 19 d.l. n. 118 del 2021. 
In tema di concordato liquidatorio ordinario la S. Corte è ormai concorde nell’affermare che il potere di nomina del tribunale è vincolato alla designazione fatta dal debitore, a condizione che essa sia rispettosa dei requisiti previsti dall'art. 28 l.fall. e che il decreto con il quale il tribunale in sede di omologazione provvede alla nomina di un liquidatore giudiziale diverso da quello indicato nella proposta approvata, è impugnabile per cassazione a norma dell'art. 111, comma 7, Cost.[40]; ne segue che anche nel concordato semplificato il richiamo dell’art. 182 l. fall. fa sì che he l'indicazione del debitore rivesta i tratti e la portata della designazione vincolante, sempre che il soggetto designato abbia le caratteristiche per svolgere questo incarico.
L’art. 182 l. fall. prevede anche la nomina di un “comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione”, ma la presenza di tale organo nel concordato semplificato è completamente svilita, al punto da far dubitare della necessità della sua nomina, in quanto le modalità delle vendite “di aziende e rami di aziende, beni immobili e altri beni iscritti in pubblici registri, nonché le cessioni di attività e passività dell'azienda e di beni o rapporti giuridici individuali in blocco”, per le quali l’art. 182 richiede l’autorizzazione del comitato dei creditori, si svolgono, nel concordato semplificato, secondo le modalità descritte dall’art. 19, di cui infra, che non richiedono l’autorizzazione del giudice delegato né del tribunale, e rendono incompatibile l’applicazione dell’art. 107 l. fall., richiamato dall’art. 182, con il suo precetto cardine di attuare le vendite tramite procedure competitive.
Invero la disciplina della nuova figura concordataria dà un duro colpo alla competitività giacchè, “quando il piano di liquidazione di cui all'articolo 18 comprende un'offerta da parte di un soggetto individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell'omologazione, dell'azienda o di uno o più rami d'azienda o di specifici beni”- che è la formula prevista dal primo comma dell’art. 163-bis l. fall.- l’art. 19, invece di prevedere l’apertura di un procedimento competitivo, come prescrive la norma fallimentare, dispone che l’ausiliario autorizzato dal tribunale e, dopo l’omologa, il liquidatore giudiziale (senza autorizzazione del tribunale), possono procedere alla vendita dall’azienda o di singoli beni “verificata l’assenza di soluzioni migliori sul mercato”. 
E’ chiaro che la verifica dell’assenza di migliori condizioni sul mercato, che può essere constatata attraverso qualsiasi mezzo, anche attraverso informazioni verbali, è cosa ben diversa dall’apertura di una procedura competitiva con le forme di cui all’art. 163-bis l. fall.; e, peraltro, le modalità del procedimento competitivo esposte dal secondo comma di detto articolo, con le connesse forme di pubblicità, il meccanismo per la scelta dell’offerta migliore e la possibilità di una gara tra più offerte migliorative di cui al terzo comma sono chiaramente incompatibili con la semplificazione del rito del nuovo strumento concordatario, tant’è che non è richiamato il comma quarto dell’art. 163-bis, che pone l’obbligo per il debitore di modificare la proposta e il piano di concordato in conformità all'esito della gara, che è elemento indispensabile per il funzionamento della competitività.
Non contraddice questa conclusione il Decreto dirigenziale del 28 settembre 2021, n. 23094. Il punto 12 della Sez. III di questo è rubricato “Cessione dell’azienda nella composizione negoziata o nell’ambito del concordato semplificato (nella fase tra la domanda e l’omologa)”, e contiene una serie di indicazioni all’esperto, tra cui l’utilità e l’opportunità del ricorso a procedure competitive per la selezione dell’acquirente, senza tuttavia mai citare l’ausiliario, che è l’organo del concordato semplificato nella fase tra la domanda e l’omologa; né è possibile estendere automaticamente all’ausiliario questi “consigli” dati all’esperto per la diversità delle procedure in cui essi operano e la diversità delle finalità della cessione aziendale. 
Nella composizione negoziale, infatti, la cessione dell’azienda è configurata come uno strumento di soluzione della crisi, in cui il tribunale interviene per verificare che si tratti di atto funzionale ad assicurare la continuità aziendale e la migliore soddisfazione dei creditori ed, a questo fine, la lett. d) del primo comma dell’art. 10 prevede che i trasferimenti dell’azienda autorizzati dal tribunale avvengano con esclusione della responsabilità dell’acquirente per i debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori al trasferimento. Nel concordato semplificato la cessione dell’azienda nella sua interezza (o di rami della stessa) è uno dei modi di liquidazione del patrimonio messo a disposizione dei creditori, preferibile alla vendita particellizzata in quanto presumibilmente più proficua per i creditori; ma è una vendita coattiva, per la quale è dettata l’apposita previsione che all’offerta può essere data esecuzione “verificata l'assenza di soluzioni migliori sul mercato”, formula che non è, invece, riprodotta per la vendita nel corso delle trattative.
Nonostante, quindi la rubrica del punto 12 del citato Decreto dirigenziale, l’attività competitiva va riservata alla fase della composizione della crisi, cui il testo del citato punto 12 fa esclusivo riferimento, e non trova applicazione per le vendite in fase di concordato semplificato, sia antecedenti che successive all’omologazione, per le quali è stata emanata apposita specifica disciplina che, non solo prevale sulla norma generale, ma è anche incompatibile con il ricorso alla competitività.
Passando all’esame della normativa contenuta nei commi 2 e 3 dell’art. 19 (la legge di conversione ha aggiunto all’art. 19 i commi 3-bis, 3-ter, 3-quater, 3-quinquies e 3-sexies, che non hanno alcuna attinenza con il concordato semplificato) va detto che questi sono frutto di una redazione abbastanza frettolosa. 
Il comma 2, infatti recita: “Quando il piano di liquidazione di cui all'articolo 18 comprende un'offerta da parte di un soggetto individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell'omologazione, dell'azienda o di uno o più rami d'azienda o di specifici beni, il liquidatore giudiziale, verificata l'assenza di soluzioni migliori sul mercato, dà esecuzione all'offerta e alla vendita si applicano gli articoli da 2919 a 2929 del codice civile.
E qui non si capisce l’inciso riguardante il trasferimento in favore dell’offerente “anche prima dell’omologazione” in quanto sorge spontaneo chiedersi come, qualora il trasferimento debba avvenire prima dell’omologa, possa provvedere a darvi esecuzione il liquidatore, che viene nominato proprio con il decreto di omologazione, tanto più che la fattispecie che l’offerta debba essere accettata prima dell’omologazione è regolata nel terzo comma, con l’intervento, come già visto, dell’ausiliario. E le due ipotesi sono sovrapponibili e differenziate solo con riferimento al momento dell’accettazione dell’offerta, non essendo ipotizzabile un piano che preveda il trasferimento prima dell’omologa, ma che l’offerta relativa debba essere accettata dopo l’omologa.
Ad ogni modo, rimane il fatto che il liquidatore, indicato dallo stesso debitore che presenta un piano preconfezionato, contenente una proposta di acquisto dell’intera azienda o rami della stessa o anche di singoli beni, può procedere alla vendita al soggetto indicato dal debitore, senza alcuna autorizzazione del comitato dei creditori o del tribunale, semplicemente verificata l'assenza di soluzioni migliori sul mercato, con buona pace della competitività e della tutela dei creditori, che, non solo non hanno diritto al voto, non solo hanno un tempo ristretto per sobbarcarsi alla onerosa opposizione, ma non possono neanche esercitare alcun controllo, neppure tramite il loro organo rappresentativo, sulle scelte del liquidatore che incidono sul livello della loro soddisfazione, né sperare che attraverso una gara tra interessati la liquidazione possa dare risultati più soddisfacenti della proposta iniziale.
Per il resto il liquidatore nominato con il decreto che omologa il concordato semplificato è equiparabile a quello dell’ordinario concordato con cessione dei beni, con l’applicazione della disciplina richiamata dall’art. 182 l.fall., previa verifica della compatibilità, per cui è pacifico che egli subentra al debitore nei soli poteri di gestione dei beni ceduti nella esclusiva finalità della loro liquidazione..
Come si è già accennato, quando il piano di liquidazione prevede che l'offerta di cui al comma 2 debba essere accettata prima della omologazione, all'offerta dà esecuzione l'ausiliario, verificata, anche in questo caso, l'assenza di soluzioni migliori sul mercato, previa autorizzazione del tribunale.
Anche quest’ultima disposizione è inspiegabile in quanto si attribuisce all’ausiliario il potere di procedere alla vendita, qualificata espressamente come coattiva con il richiamo degli artt. da 2919 a 2929 c.c. (il richiamo a queste norme è contenuto nel comma due, ma nel terzo comma, di cui si sta parlando, si specifica che l’ausiliario provvede “con le modalità di cui al comma 2”, ed è univoco il riferimento alla citata disciplina), come se avesse la disponibilità del patrimonio del debitore, nel mentre egli, a norma del richiamato art. 167 l. fall., esercita solo una attività di vigilanza sulla gestione dei beni e dell’esercizio dell’impresa che rimane in capo al debitore. 
Il fatto è che il legislatore nel comma terzo dell’art. 19 ha riprodotto la disposizione del comma secondo, che però è riferita al liquidatore, che ha i normali poteri del liquidatore di un ordinario concordato liquidatorio stante il richiamo dell’art. 182 l. fall., limitandosi a richiedere, nel terzo comma, l’autorizzazione del tribunale che, tuttavia, nulla cambia sotto il profilo in esame; anche nel concordato ordinario per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione nel corso della procedura è richiesta l’autorizzazione del giudice delegato (figura che manca nel concordato semplificato, per cui correttamente si parla di autorizzazione del tribunale), ma, come si desume dal secondo comma dell’art. 167 l.fall.- espressamente richiamato dall’art. 18 del nuovo decreto legge- è il debitore che chiede l’autorizzazione e provvede a dare esecuzione all’atto autorizzato, rispetto al quale il commissario esprime il proprio parere.
9 . Considerazioni conclusive
Dallo svolto esame della disciplina del concordato semplificato emerge che esso produce, fin dalla presentazione della domanda, gli stessi effetti dell’ordinario concordato, ma, a differenza di questo, non è soggetto al vaglio iniziale di ammissibilità, al vincolo di soddisfare i creditori chirografari ad un livello predeterminato, né deve rispettare le regole della competitività né sottostare al voto dei creditori, per citare alcune soltanto delle numerose differenze di cui si è parlato.
In queste condizioni, alla fine del percorso negoziale, esclusa ogni velleità di risanamento diretto dell’impresa, le alternative di cui parla il legislatore nel terzo comma dell’art. 11 sono solo sulla carta, giacché questa nuova figura di concordato è talmente vantaggiosa per il debitore rispetto a qualsiasi altra procedura concorsuale, ed anche rispetto ad un piano attestato, da escludere ogni possibilità di concorrenza, a meno che non siano configurabili ipotesi di revocatorie fallimentari da far pendere l’ago della bilancia per la dichiarazione di fallimento. 
In tal modo, il nuovo legislatore ha creato una specie di ulteriore misura premiale per il debitore per invogliarlo a percorrere la strada della composizione negoziale; in caso di buona riuscita di questa si stipula un accordo e scattano gli incentivi contemplati dall’art. 14, in caso negativo il debitore ha possibilità di ricorrere al vantaggioso concordato semplificato; questa prospettiva diventa tuttavia un’arma molto potente perché, come immediatamente sottolineato[41], ha, durante la negoziazione assistita dall’esperto, una forza persuasiva (io parlerei di minaccia sottesa, ma neanche troppo recondita[42]) sui creditori i quali sanno che, “all’esito negativo l’imprenditore potrà liberarsi delle sue obbligazioni con un concordato liquidatorio che deve rispettare soltanto le cause di prelazione e che non lo vincola a riconoscere ai creditori più di quanto essi potrebbero ottenere in caso di fallimento”.
Questa prospettava, peraltro, incombe in una fase in cui i creditori non sono nella pienezza dei loro diritti, ma già versano in una posizione di minorata difesa. E’ vero, infatti, che “il percorso di composizione negoziata non è, né per conformazione normativa né per espressa volontà legislativa, una procedura concorsuale….” ma è soltanto “un luogo dove si dipana lo svolgimento di trattative alla presenza di un terzo che non assiste l’imprenditore - non è un attestatore, né si sostituisce alle parti e ai suoi professionisti nell’esercizio dell’autonomia privata - ma ha il compito di facilitare le trattative e stimolare gli accordi”[43], eppure il debitore gode di una protezione sconosciuta in altre procedure pur sicuramente concorsuali e a carattere giudiziario, a scapito dei creditori. 
Il debitore, invero, con la stessa istanza di nomina dell’esperto o con successiva istanza presentata con le modalità di cui all’art. 5, 1° comma, può chiedere, l’applicazione di misure protettive del patrimonio, con la possibilità anche di selezionare i creditori interessati, ed è presumibile che quasi sempre l’imprenditore formulerà tale richiesta nello stesso ricorso introduttivo o immediatamente dopo. Dal momento della pubblicazione dell’istanza nel registro delle imprese, unitamente all’accettazione dell’esperto, i creditori incisi (probabilmente tutti, tranne i lavoratori) non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio dell’imprenditore né acquisire diritti di prelazione senza il suo consenso (art. 6, co. 1), per cui il divieto di acquistare diritti di prelazione, che nelle procedure concorsuali non è disponibile dalle parti, diventa disponibile nel corso della composizione concordata della crisi in quanto il debitore ed il singolo creditore possono accordarsi per l’acquisto della prelazione, anche in danno degli altri creditori.
Inoltre è impedita, fino alla conclusione delle trattative o alla archiviazione dell’istanza che apre la composizione negoziata, la dichiarazione di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza[44] (art. 6, co. 4); i creditori interessati dalle misure protettive non possono rifiutare l’adempimento o risolvere unilateralmente i contratti in corso con l’imprenditore per il solo fatto di vantare, nei suoi confronti, crediti non soddisfatti (art. 6 co. 5), ma devono subire la rideterminazione del contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2, giacché, in mancanza di accordo sul punto, provvede il tribunale su domanda dell'imprenditore, acquisito il parere dell'esperto e tenuto conto delle ragioni dell'altro contraente, rideterminando “equamente le condizioni del contratto, per il periodo strettamente necessario e come misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale” (art.10, co. 2); le banche e gli intermediari finanziari, a loro volta, non possono revocare gli affidamenti bancari concessi e contestualmente sono tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo e informato (art. 4, co. 6) e comunque tutti hanno il dovere di collaborare lealmente e in modo sollecito con l'imprenditore e con l'esperto, oltre che rispettare l'obbligo di riservatezza (art. 4, co. 7). 
Peraltro, solo gli atti di finanziamento e di trasferimento di azienda elencati nelle lettere da a) a d) del primo comma dell’art. 10 godono della prededuzione[45], ove autorizzati dal tribunale, e conservano i loro effetti anche nelle procedure successive (art. 12, co. 1); di conseguenza, coloro che intrattengono rapporti commerciali con il debitore dopo la nomina dell’esperto, che siano o non già creditori, rischiano in proprio nel continuare a fornire prestazioni di beni e servizi, senza il beneficio della prededucibilità dei loro crediti. 
Di contro il debitore, per tutto il periodo delle trattative di carattere stragiudiziale, essendo in bonis, non subisce le limitazioni sulla disponibilità patrimoniale tipiche di chi accede al concordato, anche semplificato (art. 167 l. fall.), in quanto, a norma del primo comma dell’art. 9, egli conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa[46], favorita anche dall’accennato divieto di revoca degli affidamenti e dalla sospensione- sino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata- degli obblighi di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c. azionabile con semplice dichiarazione dell’imprenditore contenuta nella stessa istanza di nomina dell’esperto[47] (art. 8). 
Su tale gestione l’esperto può esercitare un controllo solo indiretto, affidato all’iniziativa dello stesso debitore, che è tenuto ad informare “preventivamente l'esperto, per iscritto, del compimento di atti di straordinaria amministrazione nonché dell'esecuzione di pagamenti che non sono coerenti rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento circa il compimento degli atti di straordinaria amministrazione”[48] (art. 9, co. 2); nel mentre il tribunale interviene semplicemente per attribuire, con la sua autorizzazione, la prededuzione ai finanziamenti elencati nelle lett. a). b) e c) del primo comma dell’art. 10 e per attuare la deroga all’art. 2560, 2° comma, c.c. in caso di trasferimento di azienda[49]. 
In questa situazione di evidente squilibrio di posizioni, i creditori, già privati del diritto di realizzare i propri crediti e, più in generale, di gran parte dei diritti dispositivi tipici della titolarità di crediti e con la prospettiva che il debitore, in caso di fallimento delle trattative, si liberi dei suoi debiti con le facilitazioni descritte, sono fortemente incentivati ad accettare le proposte che vengono formulate onde evitare il peggio. 
Concludendo, l’introduzione di una procedura stragiudiziale di prevenzione delle crisi meno farraginosa rispetto all’allerta è quanto mai opportuna ed è giustificato che il legislatore adotti anche strumenti per favorirla, ma con la composizione negoziata è stato costruito un meccanismo che si autolegittima come modello preferenziale non solo per prevenire la crisi di impresa, ma anche per risolvere una crisi in atto in via privatistica al di fuori delle aule giudiziarie. Alla fine di questo percorso non riuscito, quando il debitore può accedere alle varie forme di procedure di regolamentazione della crisi offerte dal nostro ordinamento, è stata data al debitore la possibilità di ricorrere ad una nuova procedura liquidatoria, che produce esattamente gli stessi effetti del concordato preventivo ordinario con cessione dei beni, ma non richiede una valutazione di ammissibilità, lascia al debitore una grande libertà di organizzare la proposta, ed ora anche la possibilità di dividere i creditori in classi, non è soggetta alla votazione dei creditori ed il controllo del giudice interviene solo al momento dell’omologa ed è inquadrato in un perimetro legislativamente delineato.
La creazione di una procedura, così incongruamente asimmetrica in favore del debitore e sfacciatamente lesiva dei diritti dei creditori, che peraltro segue ad una fase in cui hanno già subito notevoli limitazione all’esercizio dei loro diritti di credito, non può che avere la funzione di operare, nel corso delle trattative per la composizione negoziata, una pressione per vincere eventuali perplessità o vischiosità decisionali dei creditori. E, a mio avviso, non è etico che lo Stato offra al debitore, che già tanti danni ha procurato ai suoi creditori a causa della sua crisi o insolvenza, una ulteriore arma per “costringere” costoro ad accettare le sue proposte; evidentemente il legislatore sovrano la pensa diversamente e non ci resta che prenderne atto.

Note:

[1] 
Di diverso avviso, Ambrosini, La “miniriforma” del 2021: rinvio (parziale) del CCI, composizione negoziata e concordato semplificato, in Dir. fall. 2021, I, 922, per il quale la cessione dell’azienda o di suoi rami, espressamente prevista dall’art. 19 come possibile nucleo del piano di liquidazione, “continua a rappresentare un’ipotesi di continuità alla stregua della disciplina del concordato preventivo”.
[2] 
Cfr. Cass. 19 novembre 2018, n. 29742, in Foro it. 2019, 1, I, 145; Cass. 15 gennaio 2020, n. 734, in Diritto & Giustizia 2020, 16 gennaio.
[3] 
In tal senso Farolfi, Le novità del D.L. 118/2021: considerazioni sparse “a prima lettura”, in dirittodellacisi.it, 6 settembre 2021.
[4] 
La situazione pandemica trova espresso riferimento nel decreto in esame al fine di estendere al 31.12.2022 l’orizzonte temporale entro il quale è consentito all’imprenditore in crisi di uscire dalla fase introdotta con il ricorso ai sensi dell’articolo 161, sesto comma, l. fall. ricorrendo al piano attestato di cui all’articolo 67, comma 3, lettera d) (art. 21); di consentire che sino al permanere dello stato di emergenza collegato alla pandemia in atto, il termine di cui all’articolo 161, sesto comma, della legge fallimentare sia concesso nella misura massima anche in pendenza di istanza di fallimento (art. 22); di sancire l’improcedibilità, fino 31 dicembre 2021, dei ricorsi per la risoluzione del concordato preventivo e i ricorsi per la dichiarazione di fallimento proposti nei confronti di imprenditori che hanno presentato domanda di concordato preventivo con continuità aziendale ai sensi dell’articolo 186-bis l. fall., omologato in data successiva all’1 gennaio 2019 (art. 23, co. 1); per rideterminare equamente le condizioni dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2 (art. 10,co. 2). per apportare una modifica temporanea al procedimento di assegnazione delle risorse del Fondo unico giustizia (art. 26).
[5] 
Come è noto, il nuovo codice della crisi prevede, negli artt. 284 e segg., che più imprese in stato di crisi o di insolvenza appartenenti al medesimo gruppo possono proporre con un unico ricorso la domanda di accesso al concordato preventivo di cui all'articolo 40 con un piano unitario o con piani reciprocamente collegati e interferenti e ne regolamenta la fattispecie, ma nessuna di queste norme è anticipata nell’attuale decreto legge. Pertanto, quando entrerà in vigore il CCII, sempre che si voglia estendere l’accesso l concordato semplificato di più società dello stesso gruppo per sottoporle ad una procedura unitaria (il che non è scontato giacché la semplificazione cui si ispira la figura in esame mal si concilia con la gestione di una procedura unitaria di più imprese) si porrà la necessità di un riesame della attuale normativa.
[6] 
Ambrosini, La nuova composizione negoziale della crisi: presupposti e caratteri, in ilcaso.it, 23 agosto 2021.
[7] 
Mancini, Le “imprese sotto soglia” nel d.l. 118/2021: interazioni con il sovraindebitamento, in ilcaso.it, 1 settembre 2021l.
[8] 
Ritorna alla mente la situazione antecedente alla riforma iniziata nel 2005 quando dopo l’amministrazione controllata- alla quale poteva accedere l’imprenditore che si trovava “in temporanea difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni”- veniva dichiarato il fallimento. La giurisprudenza dell’epoca aveva costruito il concetto di consecuzione ritenendo che la temporanea difficoltà ad adempiere non divergesse dallo stato d'insolvenza, se non per la erronea previsione dell’esistenza di comprovate possibilità di un risanamento dell'impresa fondata sul presupposto che la crisi potesse essere superata; di modo che la dichiarazione di fallimento sanciva la constatazione che erroneamente la crisi era stata valutata reversibile, nel mentre fin dall’inizio l’impresa versava in una situazione di insolvenza. Nella specie in esame, quando la composizione negoziata- cui può accedere l’imprenditore che si trovi in condizione di “squilibrio patrimoniale o che rende probabile la crisi o l’insolvenza”, non si conclude con una soluzione idonea a perseguire il risanamento dell’impresa, l’attestazione dell’esperto che esclude che possa essere stipulato uno degli accordi previsti dal primo comma dell’art. 11 o operata una qualsiasi forma di ristrutturazione dei debiti, sancisce la constatazione che quella crisi o pre-crisi o iniziale insolvenza che si credeva potesse essere superata e tale da portare al risanamento dell’impresa era fin dall’inizio irreversibile, tanto da aprire la strada a tutte le procedure che presuppongono (anche o in via esclusiva) l’insolvenza in atto.
[9] 
Pezzano-Ratti, Il concordato preventivo semplificato: un’innovazione solo per i debitori meritevoli,funzionale al migliore soddisfacimento dei creditori (ed a qualche salvataggio d’impresa, in dirittodelolacrisi.it, 21 ottobre 2021; Zanichelli, Gli esiti possibili della composizione negoziata, in dirittodelolacrisi.it, 26 ottobre; l’Autore non si esprime espressamente sulla possibilità di proporre il concordato semplificato all’esito dell’archiviazione, ma afferma che “Quello che però pareva possibile dopo l’incontro con l’imprenditore, può risultare inattuabile dopo il giro di consultazione con i creditori o altre parti interessate (ad esempio possibili acquirenti dell’azienda o di suoi rami). Anche in questo caso, una volta accertata la mancanza di disponibilità a soluzioni che comunque comportino un accordo con uno o più creditori o l’intervento concordato di altri interessati, si verifica la stessa situazione sopra descritta e identica è la conseguenza: comunicazione dell’impossibilità di perseguire il risanamento e archiviazione della composizione negoziata”.
[10] 
Non vi è dubbio che la differenza tra il compenso liquidabile quando l'imprenditore non compare davanti all'esperto oppure quando è disposta l'archiviazione subito dopo il primo incontro e (solo) quello minimo previsto per il caso di apertura delle trattative possa costituire un incentivo per l’esperto ad iniziare le trattative e dichiarare la mancanza di possibilità di risanamento dopo qualche incontro, ma questa è la norma e adducere inconveniens non est solvere argumentum.
[11] 
Viene presa in considerazione solo la sede dell’impresa al momento della presentazione della domanda, non rilevando l’eventuale trasferimento intervenuto nell’anno precedente, di cui si parla il primo comma dell’art. 161 l. fall. non è richiamato Ovviamente la sede del tribunale competente può essere diversa da quella della Camera di commercio, presso la quale si è svolta la composizione negoziata (la cui competenza è data dalla iscrizione del proponente nel relativo registro delle imprese), stante la non coincidenza della circoscrizione di questi enti con quella dei tribunali, specie dopo la forte riduzione dei primi.
[12] 
Posto, infatti, che l’oggetto della domanda è la richiesta di omologazione, rispetto alla quale la proposta presentata è, a sua volta, l’oggetto dell’esame per la omologazione, si poteva eliminare il primo periodo del secondo comma dell’art. 18 e scrivere il primo più o meno nel seguente modo: “Quando l'esperto nella relazione finale dichiara che…. l'imprenditore può, nei sessanta giorni successivi alla comunicazione di cui all'articolo 5, comma 8, chiedere, con ricorso presentato al tribunale del luogo in cui l'impresa ha la propria sede principale, la omologazione del concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Con il ricorso il debitore deve presentare la proposta di concordato unitamente al piano di liquidazione e i documenti indicati nell'articolo 161, secondo comma, lettere a), b), c), d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”.
[13] 
Esempio di utilità addotto da Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, in ilcaso.it 6 agosto 2015.
[14] 
Nei concordati con cessione dei beni, infatti, l’adempimento consiste prevalentemente nel pagamento di una somma di danaro, per cui l’utilità specifica e la valutazione economica si riassumono nella somma e percentuale di pagamento che vengono offerti e che per definizione sono specifiche ed economicamente valutabili. E’ invece nei concordati in continuità, diretta o indiretta, che ai creditori può essere più facilmente offerto, al posto di un pagamento in danaro, un bene diverso, quale il mantenimento dei rapporti contrattuali o altro e , in tal caso, sorge la necessità di spiegare l’utilità che questa forma di datio in solutum può dare.
[15] 
Trib. Bergamo 4 dicembre 2014, in Giur. comm., 2015, II, 832; Trib. Modena 3 settembre 2014, in Giur. comm., 2015, II, 832; Trib. Padova 6 marzo 2014, in Giur. comm., 2015, II, 832; Trib. Roma 16 aprile 2008, in Dir. fall., 2008, II, 551.
[16] 
F. Macario, Nuovo concordato preventivo e (antiche) tecniche di controllo degli atti di autonomia: l’inammissibilità della proposta per mancanza di causa, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, II, 732.
[17] 
Fabiani, Concordato preventivo, Bologna, 2014, 49; ID, I nuovi vincoli alla proposta di concordato preventivo visti dal prisma di una “lettura difensiva, in Fallimento, 2016, 574, e specifico, 578.
[18] 
Cass. 8 febbraio 2019, n. 3863, in questa Rivista.
[19] 
La norma non chiarisce a quale dei protagonisti si debba riferire la valutazione della mancanza di correttezza e buona fede nel corso delle trattative, ma è da presumere che rilevi il solo comportamento del debitore, non potendosi far ricadere su costui il censurabile atteggiamento tenuto dagli altri protagonisti.
[20] 
Così Morri, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, in ilfallimentarista.it, 24 agosto 2021; meno persuasiva è l’idea di Baratta, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Brevi considerazioni introduttive, in ilfallimentarista.it, 13 agosto 2021 che spiega tale scelta col fatto che alla procedura di concordato semplificato possono accedere anche le imprese non fallibili, dove non è prevista la figura del commissario giudiziale.
[21] 
Non a caso, alla figura di un organo ausiliario ex art. 68 c.p.c., la giurisprudenza fece ricorso immediatamente dopo la riforma del 2012 e l’introduzione del concordato con riserva, per il fatto che all’epoca non era prevista la nomina di un commissario o precommissario, neppure in via facoltativa, all’atto della concessione del termine, per cui si doveva sopperire alla carenza per ottenere una collaborazione, “per decidere sulle istanze di autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione e/o relativi allo scioglimento o alla sospensione di contratti in corso di esecuzione, oppure dalla domanda medesima siano desumibili profili di complessità della procedura in ragione della prevista e dichiarata continuazione dell'attività di impresa, su istanza del ricorrente, o motu proprio al fine assicurare una costante vigilanza sull'attività di impresa” ; nel caso in esame, invece, la legge prevede la nomina di un organo che svolga più o meno queste attività, per cui non vi era bisogno di richiamare la figura dell’ausiliario ex art. 68 c.p.c. avendo il modello del commissario del concordato pieno.
[22] 
Cass. 20 gennaio 2021, n.976, in Giust. civ.Mass. 2021.
[23] 
L’art. 18 si limita a dire che all’ausiliario si applicano le disposizioni di cui agli artt. 35, comma 4-bis, e 35.1 e 35.2 del d.lgs 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione nonchè nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136.) in modo da richiamare le cause di incompatibilità e assicurare la vigilanza sul rispetto delle stesse, ma non richiama l’art. 163 l. fall., che richiede che il commissario giudiziale debba avere i requisiti di cui all’art. 28 l. fall., né l’elenco di cui all’art. 3, comma 3 del d.l, n. 118 del 2021, che delinea le caratteristiche professionale dell’esperto.
[24] 
Quest’ultima norma infatti dispone che l’esperto “verificata la propria indipendenza e il possesso delle competenze e della disponibilità di tempo necessarie per lo svolgimento dell'incarico, entro due giorni lavorativi dalla ricezione della nomina, comunica all'imprenditore l'accettazione”. Per la verità dovrebbe essere il collegio che nomina l’esperto a verificarne l’indipendenza e il possesso delle competenze necessarie per assolvere all’incarico, e non l’interessato, ma l’aver lasciato a questi tale valutazione evidenzia chiaramente la facoltà dell’esperto di accettare o non l’incarico.
[25] 
Morri, op. e loc cit.
[26] 
Il richiamo di questa norma fallimentare, che dovrebbe consentire la revoca del concordato semplificato per gli stessi motivi per i quali può essere revocato l’ordinario concordato, come è stato correttamente sottolineato (Bottai, La rivoluzione del concordato liquidatorio semplificato, in Dirittodellacrisi.it, 9 agosto 2021), viene depotenziata nella sua portata in quanto essa, nell’ambito della procedura semplificata, consente di colpire i comportamenti fraudolenti precedenti, ma non il compimento di atti di straordinaria amministrazione o di pagamenti che non appaiono coerenti rispetto alle trattative, qualora l’imprenditore abbia preventivamente informato degli stessi l’esperto e questi abbia ritenuto che tali atti non fossero pregiudizievoli per i creditori, per le trattative o per le prospettive di risanamento, nonché il compimento di atti di ordinaria amministrazione e l'esecuzione di pagamenti coerenti rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento, che non vanno comunicati e sfuggono alla valutazione per il possibile dissenso dell’esperto, Tali atti sono legittimi e quindi non possono essere considerati come atti idonei alla revoca del concordato ex art. 173 l. fall., a meno che non siano stati fraudolentemente compiuti.
[27] 
Le nuove disposizioni, infatti, non prevedono l’ipotesi di proposte concorrenti, né richiamano l’art. 163, commi 4 e segg., per cui queste non sono ammesse nel concordato semplificato. Tanto è in perfetta sintonia, per un verso, con il venir meno anche del limite di soddisfazione minima dei chirografari, indicata dal comma quinto dell’art. 163 l. fall. al fine di bloccare la presentazione di proposte alternative e, per altro verso, con la mancanza di una votazione che scelga quale, tra le più proposte, debba essere portata all’omologazione; manca, infine, anche un meccanismo che, sulla falsariga di quanto stabilito dall’art. 125 l. fall. per il concordato fallimentare, attribuisca tale potere di scelta al tribunale o ad altro organo.
[28] 
Si afferma, infatti, nella Relazione che “Sono omesse la fase di ammissione e la fase del voto dei creditori sul presupposto che la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa e la non percorribilità di altre soluzioni sia stata esaminata dall’esperto indipendente e rappresentata nella relazione finale che chiude la composizione negoziata e sull’ulteriore presupposto che i creditori siano stati interessati ed informati nel corso delle trattative”.
[29] 
Lamanna, Nuove misure sulla crisi d’impresa del D.L. 118/2021: Penelope disfa il Codice della crisi recitando il "de profundis" per il sistema dell'allerta, in ilfallimentarista.it, 25 agosto 2021. Considerazione condivisibile perché non è indispensabile il coinvolgimento di tutti i creditori, anzi, la selettività è uno dei tratti che caratterizzano lo strumento negoziale.
[30] 
Termine di gran lunga più ridotto di quello di cui i creditori dispongono nell’ordinario concordato per esprimere il voto, dato che il n. 2 del secondo comma dell’art. 163 l. fall. consente di fissare la convocazione dei creditori fino a centoventi giorni dalla data del provvedimento che, va comunicato ai creditori in un termine che il tribunale stabilisce.
[31] 
Bozza, L'omologazione della proposta (i limiti alle valutazioni del giudice), in Fallimento 2006, 1067. Secondo altri (Caffi, Il concordato preventivo, in Il diritto fallimentare riformato, a cura di G. Schiano di Pepe, Padova, 2007, 650; Norelli, Il giudizio di omologazione del concordato preventivo, in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di Ghia –Piccinini –Severini, Torino, 2011, 509), la natura officiosa del procedimento non impedirebbe la prosecuzione dello stesso anche in caso di mancata costituzione del debitore e in assenza di opponenti.
[32] 
Pezzano- Ratti, op. e loc. cit., ammettono la possibilità del “cram down in caso di opposizioni - finalmente senza alcuna limitazione quantistica - da parte di qualsiasi creditore non integralmente soddisfatto”. Conclusione poco convincente perché o presuppone che il cram down sia esercitabile anche in mancanza di espressa previsione di legge, nel qual caso non si spiegherebbe il quarto comma dell’art. 180 l. fall., ovvero poggia su un’applicazione mista della normativa fallimentare, dalla quale si prendono le parti che interessano (il cram down) e si escludono quelle ritenute incompatibili (la limitazione quantistica legate al voto), che farebbe della figura in esame un sottotipo del concordato ordinario.
[33] 
Norma che proprio con in d.l. n. 118 del 2021 è stata integrata sostituendo le parole “Il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di voto” con quelle secondo cui “Il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione”, così definitivamente chiarendo che il potere sostitutivo del tribunale si realizza anche in caso di voto negativo dell’amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali.
[34] 
Morri, op. e loc. cit.
[35] 
Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in dirittodellacrisi,it, 25 agosto 2021.
[36] 
A questo punto il comma sesto aggiunge: “assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio”; inciso del tutto inutile dal momento che già nel comma quinto è detto che “Il tribunale, assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio, omologa il concordato quando….”. 
[37] 
Cass. 9 febbraio 2007, n. 2886, in Fallimento 2007, 787.
[38] 
Così, da ult., Cass. 20 dicembre 2011, n.27666, in Ilfallimentarista.it, marzo 2012.
[39] 
Bottai, op. e loc. cit.
[40] 
Da ult. Cass. 29 luglio 2021, n. 21815, in Dejure; Cass., 18 gennaio 2013, n. 1237 in Ilfallimentarista.it , 22 aprile 2013; Cass., 15 luglio 2011, n. 15699, in Giust. civ. 2012, 9, I , 2120.
[41] 
Panzani, op. e loc. cit.
[42] 
In modo più edulcorato si esprime Arato (Relazione tenuta a Brescia il 25.9.2021 al Convegno "La gestione della crisi di impresa nel post pandemia tra esigenze del Paese, Legge Fallimentare e Codice della Crisi), quando dice che “In definitiva, il possibile ricorso al concordato liquidatorio semplificato quale esito di una composizione negoziata non andata a buon fine potrebbe essere un valido deterrente rispetto ad eventuali perplessità o vischiosità decisionali dei creditori in sede di composizione negoziata. Ipotizziamo, ad esempio, una proposta di accordo con i creditori che preveda una continuità indiretta attraverso la cessione dell'azienda a terzi. Se i creditori non l'approvano, il debitore potrà pur sempre perseguirla e imporla ai creditori attraverso un concordato semplificato”. Comunque voglia chiamarsi, la prospettiva di una figura che serva a vincere le eventuali perplessità o vischiosità decisionali dei creditori in sede di composizione negoziata rimane un’arma che opera come una minaccia.
[43] 
Pagni-Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in dittodellacrisi.it, 2 novembre 2021.
[44] 
Il divieto comminato dal comma quarto dell’art. 6, riguarda, quindi, non la proposizione del ricorso per la dichiarazione di fallimento, che di per sé pertanto non è improcedibile, ma la pronuncia della sentenza, sulla scia dell’art. 7, par. 2, della Direttiva 1023/2019, in quanto la dichiarazione di fallimento o di accertamento dell’insolvenza può pregiudicare l’andamento delle trattative.
[45] 
Non vi è alcuna norma che in questa fase attribuisca, in via generale, la prededuzione ai crediti sorti in occasione o in funzione della procedura, tranne quelli espressamente indicati dall’art. 10, cui va aggiunto il credito per il compenso dell’esperto (art. 16, co. 11), né è richiamato l’art. 111 l. fall., come invece è stato fatto nel concordato semplificato.
[46] 
Situazione ben sintetizzata da Pacchi (Le misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale ovvero i cambi di cultura sono sempre difficili in ilcaso.it, 13 agosto 2021) quando scrive che “La disciplina punta a una gestione dell’impresa che, durante le trattative per la composizione negoziata, sia per l’ordinaria che per la straordinaria amministrazione, rimanga saldamente in mano all’imprenditore libero da controlli invasivi e senza l’inibizione di effettuare pagamenti”.
[47] 
Disposizione che non richiede per la sua applicazione la ricorrenza che “le perdite (siano) emerse nell'esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020”, come previsto invece dall'articolo 1, comma 266, l. 178/2020 (legge finanziaria 2021) in vigore dal 1° gennaio 2021, che disapplica per la durata di cinque anni “gli artt. 2446, commi 2 e 3, 2447, 2482-bis, commi 4-6, e 2482-ter c.c.” e rende inoperante la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli artt. 2484, comma 1, n. 4, e 2545-duodecies c.c.. La disposizione del recente decreto legge non richiede la presenza del requisito della emersione delle perdite nell’esercizio in corso alla data del 31.12.2020, che, ove ricorra, consente l’applicazione della norma del 2020, più favorevole.
[48] 
A sua volta l’esperto, quando ritiene che l’atto possa arrecare pregiudizio ai creditori, alle trattative o alle prospettive di risanamento, lo segnala per iscritto all’imprenditore e all’organo di controllo (art. 9, co. 3), e, se nonostante la segnalazione, l’atto viene egualmente compiuto, è sempre l’imprenditore che deve informare immediatamente l’esperto, il quale, nei successivi dieci giorni, può- e nel caso l’atto compiuto pregiudica gli interessi dei creditori deve- iscrivere il proprio dissenso nel registro delle imprese e segnalarlo al tribunale che ha confermato le misure protettive, ai fini della loro eventuale revoca (il che, seppur non previsto da alcuna norma, in concreto segna la fine del percorso negoziale). Rimane il fatto che è il debitore che seleziona, in base a sue valutazioni, se l’atto che sta per compiere è coerente con le finalità di risanamento, e se comunicarlo all’esperto, che, dal canto suo, non ha poteri di monitoraggio sulla gestione dell’impresa.
[49] 
Coerentemente gli atti autorizzati dal tribunale ai sensi dell'articolo 10 conservano i propri effetti nelle eventuali successive procedure, (art. 12, co, 1) e, in caso di fallimento, non sono soggetti a revocatoria di cui all'articolo 67, secondo comma, l. fall., “gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere dall'imprenditore nel periodo successivo alla accettazione dell'incarico da parte dell'esperto, purché coerenti con l'andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti (art. 12, co. 2); infine il quinto comma dell’art. 12 stabilisce che le disposizioni di cui agli articoli 216, terzo comma, e 217 l. fall. “non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti nel periodo successivo alla accettazione dell'incarico da parte dell'esperto in coerenza con l'andamento delle trattative e nella prospettiva di risanamento dell'impresa valutata dall'esperto ai sensi dell'articolo 5, comma 5, nonché ai pagamenti e alle operazioni autorizzati dal tribunale a norma dell'articolo 10”.

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